Luganese

I vertici di una palestra luganese in aula per cattiva gestione

Il dirigente 62enne e l’amministratrice unica 37enne si professano innocenti. Il giudice chiede il business plan e sospende il processo

Reati societari al vaglio della Corte
(Ti-Press)
30 agosto 2022
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Cattiva gestione, amministrazione infedele, omissione della contabilità, infrazione alla legge federale sull’assicurazione per la vecchiaia e i superstiti. Sono i reati dei quali deve rispondere da stamane davanti alle Assise correzionali di Lugano il direttore della società anonima, fallita nel gennaio 2020, che gestiva una palestra del Luganese – a oggi tuttora attiva sotto un’altra società – lasciandosi dietro un danno patrimoniale accumulato tra il 2017 e il 2020 di quasi mezzo milione di franchi, 476mila franchi indica l’atto d’accusa stilato dal procuratore pubblico, Daniele Galliano, tra cui 20 attestati di carenza beni. Sul banco degli imputati compare anche l’amministratrice unica e prestanome della società anonima, 37enne luganese, che si è detta estranea ai presunti reati societari, facendo sapere di avere appreso dei fatti solo al momento di essere convocata in Procura. Anche la donna deve rispondere degli stessi reati, tranne quello più grave di amministrazione infedele.

Un investimento milionario per il rinnovo del Centro, per l’accusa ‘un eccessivo indebitamento’

Tutto inizia nel 2017, nell’ambito della realizzazione del rinnovo della palestra luganese. Lavori di rinnovamento del valore di 10 milioni. Un’iniziativa che il procuratore pubblico Galliano, nel suo impianto accusatorio, non esita a confinare in una vicenda di cattiva gestione, definendo le modalità dell’operazione immobiliare messe in atto attraverso "un’insufficiente dotazione di capitale, spese sproporzionate e grave negligenza dell’esercizio della loro professione o nell’amministrazione dei beni, cagionato il proprio eccessivo indebitamento o la propria insolvenza o aggravato il proprio eccessivo indebitamento o la sua situazione conoscendo la propria insolvenza".

Il giudice Marco Villa, rivolgendosi all’imputato, ha sondato la sua attuale situazione finanziaria. «Guadagno 8mila franchi lordi» ha risposto l’imprenditore, spiegando di essere ancora a capo della palestra «ma non tutti i mesi prendo lo stipendio, dipende dall’andamento della società». L’imputato ha spiegato di voler continuare a gestire l’attività anche in futuro: «Il progetto principale è uscire dalla pandemia, affinché la società possa riprendersi». Il giudice ha chiesto se fosse lui l’artefice, il deus ex machina dell’azienda. «Non mi riconosco dirigente come viene descritto nell’atto d’accusa. Io mi occupavo solo di gestire il cantiere. C’era stata una opposizione, il cantiere è finito in sei mesi e mezzo invece dei progettati due anni». Per la pubblica accusa il 62enne ha perseguito "meri interessi personali, segnatamente la realizzazione (dei lavori, ndr) nel più breve tempo possibile e con minor costi possibili, evitando di pagare oneri sociali e imposte, cagionando il fallimento della società (richiesto dall’Istituto delle Assicurazioni sociali alla Pretura di Lugano)".

A fine mattinata, il presidente della Corte ha chiesto all’imprenditore se sia in grado di fornire alla Corte il business plan dei lavori di rinnovo eseguiti alla palestra, dal momento che questo documento, ritenuto essenziale, manca nell’incarto processuale. L’imputato ha risposto affermativamente, ma ha richiesto un giorno di tempo per trovarlo e produrlo. Detto, fatto. Il giudice Villa ha sospeso il processo fino a domani alle 9, chiedendo all’imputato di presentare la documentazione relativa al business plan, al piano di finanziamento e di investimento della società anonima. Il dibattimento pubblico riprenderà dunque con l’interrogatorio dei due imputati. Al vaglio degli inquirenti anche la posizione della donna, la quale per la pubblica accusa aveva firma individuale sulla relazione bancaria della società, ma di fatto se ne era disinteressata completamente, spiegando che il co-imputato le avrebbe detto "che sarebbe stato lui a portare avanti il tutto" e che lei dunque aveva dedotto: "Io quindi non avrei dovuto fare niente".

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