Luganese

'Di solito noi arriviamo dove tutti scappano'

Il comandante Mauro Gianinazzi lascia i Civici Pompieri di Lugano dopo 40 anni nel corpo, e si racconta

Tipress
14 dicembre 2019
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Dopo quarant’anni fra i Grisù della cittadina sul Ceresio, primo e unico corpo professionista in Ticino, e quindici di guida attenta anche nei risvolti cantonali e federali, è tempo del passaggio di consegne. Un bilancio positivo per quella che resta una professione al servizio del cittadino, perché: ‘Di solito arriviamo laddove tutti gli altri scappano’.

Primo comandante di un corpo professionista in Ticino Mauro Gianinazzi con il 1° gennaio passerà il comando dei Civici pompieri di Lugano a Federico Sala (cfr. articolo a pagina 11). «È attualmente l’unico corpo pompieri in Ticino riconosciuto dall’Associazione svizzera dei pompieri professionisti» ci ricorda prima di cominciare la nostra ultima intervista in questa veste.

Pare che la figura del pompiere, rispetto ad altre ‘autorità’, permanga nell’ammirazione e nella riconoscenza della popolazione. È culturalmente così in tutto il mondo. E in altre nazioni lo è in modo ancora più marcato, penso all’America, anche per i motivi che sappiamo e mi riferisco agli attentati dell’11 settembre 2001. Non è un caso che per molti anni consecutivi nella classifica del Reader’s Digest che riporta le figure nelle quali le persone fanno più affidamento al primo posto risulta il pompiere. Questo perché il pompiere ha la vocazione di prestare aiuto, ha una forte identità di squadra. Il pompiere arriva di solito laddove tutti gli altri scappano. Non è però sufficiente essere un ‘eroe’, per arrivarci al meglio contano scienza e coscienza.

Il pompiere sembra lontano dagli scandali... Quale vicepresidente nazionale, e dunque da un palcoscenico abbastanza ampio, qualcosa, va detto, c’è stato. Da un collega, nella Svizzera tedesca, trovato ubriaco alla guida durante il servizio a un altro che ha rubato dalla cassa del corpo. Va poi considerato il fenomeno dei piromani. Nella sua storia quasi ogni corpo pompieri ne ha avuto uno, così anche noi anni addietro. Sta, dunque, proprio qui la capacità nel momento della selezione (reclutamento per il quale ora ci avvaliamo anche di uno psicologo) di identificare la frontiera, che resta sempre labile, fra la passione e il fanatismo. Il nostro è, infatti, un volontariato non ‘da dietro le quinte’ ma sempre ‘sotto i riflettori’, e vi possono perciò essere persone attratte proprio da questo.

Tornando agli esordi, quarant’anni fa, aveva già le idee chiare nell’intraprendere questa delicata carriera professionale?

Se il 50% dei bambini sogna di fare il pompiere e l’altra metà l’astronauta, ecco, io facevo parte dei secondi! Però è vero che un fascino delle luci blu c’è sempre stato. Ho preso consapevolezza nel 1980 quando mi trovavo in Svizzera interna alla scuola di caporale nelle truppe di salvataggio, una sorta di pompiere di guerra, dove ho fatto carriera fino a diventare sostituto comandante di reggimento, dirigendo il battaglione di intervento ticinese in caso di catastrofi, il primo ad essere formato. Quando ho visto il concorso a Lugano mi sono detto ‘perché no?’. Da pompiere volontario nel ’91 sono stato nominato ufficiale, nel 2003 sostituto comandante e un anno dopo comandante.

Un doppio battesimo, in quanto nasceva proprio allora il professionismo.

Abbiamo più dovuto che voluto per il già importante numero di interventi giornalieri per i quali bisognava richiamare il personale civile dalle industrie private o dalla polizia. A giusta ragione si è, dunque, introdotto il professionismo. Se nei primi anni Duemila eravamo sui 500 interventi all’anno, oggi ne contiamo 3’500 con una realtà di nove interventi al giorno, e non perché è aumentata la minaccia ma perché sono aumentati l’urbanizzazione, il traffico, i posti di lavoro e il tessuto urbano è cresciuto in modo esponenziale. Con in più l’attribuzione di nuovi compiti ai pompieri come la chimica, il soccorso stradale, la biologia e altro. Una professionalizzazione che ci ha portato dall’ottantina di pompieri agli attuali 154, di cui 30 professionisti, un numero proporzionale alle esigenze di servizio e turni di picchetto. È un volontariato peraltro molto impegnativo, molto ‘spinto’ quello del pompiere, al picchetto non si può non rispondere.

La condivisione di questi valori non può prescindere dalle proprie famiglie. L’armonia, il sostegno e il riconoscimento familiare sono fondamentali. Una moglie, una compagna che non sostiene la scelta del proprio marito o compagno di fare il pompiere porta a non avere chance, e in questo come corpo abbiamo avuto molte persone che hanno dimissionato perché in famiglia diventava insostenibile. Nel mio caso, con i compiti assunti anche a livello cantonale e nazionale, ancora di più. Io conto di aver fatto libero, se andava bene, due weekend al mese, altrimenti era solo uno. Non conto i pranzi di Natale interrotti per un allarme, i ritorni dalle vacanze per grossi eventi, le notti o le cene con amici dove devi mollare tutto e andare... Ed è anche per questo che come corpo curiamo molto l’aggregazione con i rispettivi familiari: organizziamo loro una cena annuale di ringraziamento, la festa di san Nicolao per i figli, una grigliata con le famiglie ad inizio estate, senza dimenticare che in occasione di una nascita, un compleanno, un funerale marchiamo presenza. Non sono gesti dovuti, ma fatti con piacere. Un’aggregazione che definirei molto particolare, non conosco un’altra realtà in tutto il mondo che sia marcata come quella dei pompieri. Non è una professione dove timbri il cartellino e te ne vai ma c’è veramente qualcosa di più. E ciò nasce dal fatto che se tu entri in una cantina in fiamme dove la temperatura è di duemila gradi devi fidarti di chi ti è vicino, una conoscenza non solo professionale, ma un rapporto reciproco di stima e amicizia, non è abbastanza la competenza tecnica. Non vorrei farlo sembrare un mondo alla De Amicis ma un collega ti può salvare anche la vita.

In quarant’anni non saranno mancate neppure le amarezze...

Porterò con me un progetto non passato, la nuova Legge pompieri, in esame in Gran Consiglio; è vent’anni che l’aspettiamo (pensavo di vederla realizzata da presidente federativo fra il 2008 e il 2012). Questa è forse “l’amarezza” più grande. Sono quei rammarichi poi di tutti i giorni, la partenza di qualcuno che ha dovuto lasciare. Ma se devo indicarle una cosa che proprio mi ha scocciato o indisposto posso sinceramente dirle che non c’è. La mia partenza scaturisce, infatti, da una sana riflessione, cominciata un paio d’anni fa, che esula da problemi interni o con referenti politici. Mi sono sempre trovato bene e soprattutto mi sono sempre sentito sostenuto dal mio datore di lavoro ovvero la Città di Lugano. Ho capito semplicemente che era giunto il momento di fare un passo indietro anche perché la nuova generazione è pronta per il passaggio di consegne, penso in particolare a chi mi sostituirà.

I rapporti con la politica comunale. Quale il suo bilancio?

Ho avuto la fortuna di agire su tutti e tre i livelli. Sul fronte comunale devo ricordare che oltre con il Municipio polo dobbiamo relazionarci con i 24 Comuni convenzionati. Rapporti che sono stati sempre ottimi. Abbiamo agito come credo agiscano i pompieri in tutto il mondo: il pompiere non chiede mai, se chiede è perché ha bisogno. Per questo devo dire che quando arriva un messaggio relativo ai pompieri in Consiglio comunale vi è una condivisione unanime, frutto anche dei rapporti preziosi con i vari gruppi partitici.

Le dico una cosa: quando sono arrivato qui mi ero fatto una promessa che però non ho mantenuto... mi ero detto 70% terreno, 30% ufficio. Beh, 90% è stato ufficio, 10% terreno. Ma è giusto così...

E salendo a livello cantonale e nazionale?

A livello cantonale parliamo di 38 corpi pompieri. Il nostro referente è il Dipartimento finanze ed economia, ma abbiamo anche un partenariato con il Dipartimento del territorio, per quanto attiene la chimica, e delle Istituzioni, per la protezione della popolazione. Certo più si sale più si moltiplicano i problemi. Ma come per il livello locale anche il Cantone è sempre stato sensibile alle nostre esigenze. Difatti troviamo un corpo pompieri cantonale che si è riorganizzato completamente, una riorganizzazione durata quasi vent’anni che si è conclusa con la fusione fra Chiasso e Mendrisio. Siamo passati da 200 corpi pompieri a 38, da un effettivo di 4’000 a 1’700 pompieri, ma non è stato uno smantellamento ma qualcosa di ragionato e pianificato. Si sono migliorati la tecnologia, l’equipaggiamento, la tecnica, la tattica di intervento. Gli uomini sono più motivati. Infine, a livello federale, pur facendo parte del gruppo parlamentare pompieri alle Camere, i rapporti possono essere più ‘lontani’. I pompieri non fanno parte di un dipartimento perché è un compito dei Comuni. Inoltre il Ticino fa parte degli otto Cantoni che hanno un’assicurazione privata incendio che finanzia dunque i pompieri. Ma quattro volte all’anno ci incontriamo con i parlamentari per discutere di temi a più largo respiro e di visione strategica.

C’è un intervento che porterà nel cuore? Sono tanti quelli che mi hanno emotivamente toccato. Ho assunto la responsabilità di circa 13’000 interventi di cui 700 condotti direttamente. È difficile quindi risponderle... Ho visto molte persone morte, tanti feriti, tanti sfollati. Calcoli che evacuiamo fra le 3’000-4’000 persone all’anno, abbiamo 100-200 feriti, fra cui bambini. Ciò che mi ha sempre colpito è però il disagio vissuto da una certa fascia di popolazione. Non posso non parlare poi della frana di Davesco, nata da un contesto del tutto particolare, eravamo vicini ed eravamo in allarme da diversi giorni. Penso anche all’incidente di un pullman in autostrada, a un tremendo scontro fra due auto che ha visto la morte di una mamma e del suo bebè di tre mesi. Sono cose che ti segnano, soprattutto psicologicamente. Anni fa peraltro il post-trauma non era ancora contemplato e il debriefing lo si faceva di ritorno in caserma con i compagni, magari parlando o pensando ad altro. Certo che spesso non si dimentica... Un evento che mi ha marcato e di cui porto ancora oggi i segni è l’incendio di un’auto e la morte della persona che la guidava... ancora oggi sento l’odore...

Quanto il cittadino vede in voi un elemento di supporto nel momento del bisogno?

Il nostro arrivo incute subito serenità, lo vediamo nei volti di quanti ci allarmano, nei loro sorrisi. E anche se la casa nei primi minuti continua a bruciare percepiamo un certo sollievo, una grande fiducia in noi. Non conto le attestazioni di stima, che ogni volta mi emozionano, da parte di cittadini che riportano soprattutto il nostro carico di umanità, di vicinanza in un momento particolarmente difficile.

Al pompiere fa più paura il fuoco o l’acqua? Come tutti gli elementi della Natura possono essere piacevoli amici (la pioggia o le fiamme nel camino) o generatori di drammi. L’acqua, salvo casi eccezionali, è più lenta e dunque più prevedibile, puoi pianificare l’evento, prepararti psicologicamente e tecnicamente, l’incendio è più repentino e violento, per questo più pericoloso. L’adrenalina qui corre di più.

Un rimpianto nel veder sopraggiungere la pensione?

Alla cerimonia di commiato avrei voluto avere al mio fianco anche i miei genitori, mancati lo scorso anno a due mesi di distanza. In loro vi era una continua apprensione e preoccupazione verso il grande impegno, anche fisico, che comportava il mio lavoro. Avrei voluto che ci fossero per vederli tirare un sospiro di sollievo.

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