Luganese

Cile in fiamme: la crisi vista dal luganese Fabiano Alborghetti

Nostra intervista al presidente della Casa della Letteratura, che ha vissuto in presa diretta i primi drammatici momenti delle proteste popolari a Santiago

Le proteste e gli scontri sono ripresi lunedì (Foto Keystone)
6 novembre 2019
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Una ventina di morti e rivolte popolari che infiammano il Paese da ormai quasi due settimane. La situazione sociopolitica in Cile resta tesa (cfr. correlato). Ad aver vissuto in presa diretta i primi drammatici momenti della più grande protesta di piazza dal 1990, anche lo scrittore Fabiano Alborghetti. Rientrato pochi giorni fa dal suo tour latinoamericano, il presidente della Casa della Letteratura della Svizzera italiana – con sede a Lugano – racconta a ‘laRegione’ la propria esperienza.

Quando e perché è arrivato in Cile?

Sono atterrato a Santiago il 19 ottobre, quale rappresentante svizzero della settimana della lingua italiana nel mondo. Avrei dovuto partecipare a una conferenza inserita in un ciclo di eventi analoghi organizzati dalle ambasciate di Cile, Perù, Colombia e Messico.

Evento al quale non ha però partecipato, giusto?

Esatto. La conferenza avrebbe dovuto svolgersi all’Istituto italiano di cultura, che è esattamente a piazza Italia: uno dei primi epicentri delle sommosse popolari. Data la violenza dei disordini, l’evento è stato annullato.

Che cosa ha fatto quindi?

L’ambasciata svizzera ci ha comunicato che l’evento era in forse ad atterraggio avvenuto. La sera del 20 ottobre oltretutto è stato dichiarato lo stato d’emergenza e il relativo primo coprifuoco militare. Sono stato quindi praticamente confinato all’interno dell’albergo, per ragioni di sicurezza e sempre su disposizione dell’ambasciata elvetica. Il personale stesso dell’albergo teneva serrate le porte incatenandole.

Si sentiva al sicuro nell’albergo?

Le sommosse sono iniziate in centro, ma si sono poi diffuse anche in altre aree della città (e del Paese, ndr). Disordini ci sono stati proprio sotto l’hotel: polizia e militari hanno cominciato a sparare proiettili di gomma contro i manifestanti. Ci sono stati lanci di lacrimogeni, mezzi blindati schierati.

Scene da guerriglia urbana...

Assolutamente sì. Qualsiasi via della città, anche quelle delle periferie bene dove si trovava l’albergo, era presidiata dall’esercito armato. Immagini direi sconvolgenti, anche per la memoria storica, che richiamavano la dittatura militare di Augusto Pinochet.

Che impressioni si è fatto di questa rivolta?

Mi è sembrato che l’alta borghesia l’abbia presa un po’ sottogamba. Questo perché fra loro e la massa della popolazione – che vive con 480 franchi di stipendio mensile in media – c’è uno scollamento molto forte. Il governo ha disposto l’innalzamento dei costi dell’elettricità e soprattutto di quelli della metropolitana: un trasporto pubblico che i ricchi non utilizzano e quindi una misura dalla quale non sono stati colpiti. D’altra parte, il malcontento ha fatto da collante intergenerazionale: gli universitari si sono trovati in piazza di fianco a coloro che avevano vissuto il regime di Pinochet, oggi anziani o quasi.

Ha mai avuto paura?

Quando è stato dichiarato il coprifuoco, con l’esercito e i carri armati per strada, sì. E questo ha causato anche dei problemi non indifferenti per lasciare Santiago e andare a Lima (in Perù, ndr).

Di che tipo?

È stato molto difficile trovare un volo per Lima, erano tutti completi. Ho trovato un posto per un volo alle 6.55: in pieno orario di coprifuoco. Il biglietto aereo potenzialmente avrebbe potuto funzionare come salvacondotto, a patto che io guidassi l’auto. Io però avrei dovuto avere l’autista, che non sarebbe stato coperto dal salvacondotto. L’unica possibilità è stata quindi recarsi in aeroporto alle 19 del giorno precedente il volo.

Ha dovuto passare quindi la notte in aeroporto?

Fortunatamente no. Una volta arrivato in aeroporto sono riuscito a trovare un ultimo volto notturno per il Perù. A gran fatica: in aeroporto l’impressione è stata quasi quella di essere in una kasbah araba.

Ossia?

C’erano migliaia di persone, una grande confusione. Sembrava quasi un campo profughi. Il wi-fi funzionava a singhiozzo, le notizie di quel che accadeva all’esterno trapelavano a fatica. Dalle poche immagini che vedevamo di quel che stava accadendo, l’impressione era quella di una guerra.

Che ambiente c’era in aeroporto?

Il personale dello scalo, a causa dei disordini e del collasso del trasporto pubblico, era pochissimo. L’assistenza era praticamente nulla, i pochi uffici aperti sono stati presi d’assalto e le persone, in particolare gli stranieri che non parlavano lo spagnolo, si sono ritrovati abbandonati a sé stessi. Ho visto persone in panico, in lacrime, famiglie con bambini in difficoltà. È stata una situazione molto spiacevole a cui assistere.

Tornando alle proteste, che impressione si è fatto? Dureranno a lungo?

Difficile valutare. Sarebbe necessario che classe politica, ceto medio-alto e medio-basso riuscissero a incontrarsi a metà. Ma le divisioni sono molto forti. Inoltre, il movimento di protesta è talmente vasto che per il governo, che ha fatto grossi errori fin dall’inizio, trovare un interlocutore per un dialogo è difficile. Mi aspetto mesi d’instabilità, che d’altra parte il Cile non può permettersi per ragioni economiche. Vedremo.

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