Luganese

Massagno, abbattuta un'altra pianta 'pericolosa'

Sotto le motoseghe un cedro indiano secolare dopo che è stato attestato il rischio caduta. Per fare spazio al 5G? L'esperto: 'No, ma attenzione ai cantieri'

Ciò che resta del centenario cedro indiano a Massagno. Dal Municipio (sullo sfondo) la garanzia di un rimpiazzo
29 agosto 2019
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Il cedro indiano risaliva al 1910 o poco dopo: l’altro giorno la sua esistenza centenaria si è conclusa sotto le motoseghe. Motivo: costituiva un pericolo per l’asilo di Massagno. Essendo una pianta protetta a Pr, verrà sostituita. La perizia che attestava il rischio di caduta è stata stilata dall’arboricoltore Daniele Reinhart, che abbiamo voluto interpellare anche a proposito di quella che sembra un’ecatombe di grandi alberi secolari nelle città ticinesi, che sta facendo molto discutere. «Il cedro di Massagno dal punto di vista della chioma era una meraviglia, però metà dell’apparato radicale era ‘andato’, e poi c’erano due ferite sul tronco. Forse vecchi lavori edilizi, o il deposito di materiale per lungo tempo. Io l’avevo già dato per spacciato due anni fa». Qualcuno sospetta che dietro ai numerosi tagli di grossi alberi ‘per sicurezza’ ci sia l’intento di fare spazio alla telefonia 5G. Lei cosa ne pensa? «Credo che sia una leggenda metropolitana... Bisogna essere ragionevoli: l’albero centenario in città ce lo possiamo dimenticare. Sono piante di fine ’800 o inizio ’900, quando Lugano, Molino Nuovo, Viganello, Castagnola erano paesi distinti, collegati da strade dove passavano carri, muli e poche persone. Col boom dagli anni ’50 sono partiti gli scavi per strade e condotte, tagliando le radici. Gli alberi, ancora abbastanza giovani, hanno resistito ma qualche decennio dopo abbiamo visto cos’è successo, penso all’ippocastano caduto sul tennis del Lido. L’ippocastano non è un albero da città, e lo abbiamo capito col tempo, poi sotto l’asfalto ci sono il manto portante, 15 centimetri, la sottostruttura che vuol dire minimo 55 centimetri, e la terra che viene addensata con cilindri da 10 tonnellate. È chiaro che una pianta non ce la può fare: ha bisogno di terreno mobile, non necessariamente morbido, ma normale, dove poter vivere.

Incidenti e avvelenamenti

«Statistiche americane dicono che un albero in città vive in media 40 anni, considerando anche la mortalità per incidenti. In un viale che abbiamo fatto a Magliaso, dopo 2 anni abbiamo dovuto sostituire una pianta, dopo 4 un’altra, per vandalismi, e dopo 15 una terza pianta perché si era rovesciata. In città è ancora peggio perché per ogni condotta, telefono, gas o altro, c’è uno scavo, con nuovo asfalto, e il terreno si addensa sempre di più». Il sentimento popolare, però, vede un fenomeno di ‘motoseghe facili’. «C’è un problema di opinione pubblica, persone che si incatenano agli alberi, ma posso dire che la Città di Lugano sta facendo un ottimo lavoro. Sul viale Castagnola è stata fatta un’opera titanica mettendo il manto stradale su palafitte per non schiacciare le radici, e bisogna anche scegliere le piante ideali per una città, come il bagolaro, o il platano nelle sue varietà più resistenti». Ha mai scoperto sabotaggi, piante uccise volontariamente? «Sì, mi è capitato due volte. È molto difficile risalire ai colpevoli, anche quando si trovano dei buchi sul tronco. Una mia cliente addirittura riuscì a riprendere con le videocamere il momento in cui una persona scavalcava la rete e buttava il diserbante sulle piante, ma in Procura si sentì dire che il video non serviva a niente perché non si vedeva in faccia l’autore. Ma per far fuori un albero basta un cantiere condotto male. L’Unione svizzera dei parchi e giardini ad esempio fornisce delle indicazioni precise: la superficie da proteggere corrisponde alla prospezione della chioma, poi ci vorrebbe un arboricoltore di accompagnamento. E bisognerebbe fare come a Londra: chi vuol fare lavori vicino a una pianta di pregio deve depositare una cauzione...».

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