Locarnese

Mezzo secolo da barbiere: l'Eugenio lascia (a 85 anni)

Dopo 53 anni di attività all'imbocco di Piazza Grande, Foradini appende forbici e pettine al chiodo. “Ma il mio salone continuerà a vivere”

Eugenio Foradini
(Ti-Press/A. Crinari)
6 novembre 2020
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Le mani sfogliano con cura, come a volerle quasi accarezzare, le pagine di quell’album fotografico che riassume vita e passioni di un uomo. Mani grandi, che non nascondo macchie e rughe dovute allo scorrere del tempo, ma che anzi se ne fanno beffa, muovendosi ancora leggere e veloci.

Sono mani vissute quelle di Eugenio Foradini, 85enne del Locarnese che, da oltre 50 anni, lavora come barbiere in Via Franchino Rusca, all’entrata della Piazza Grande di Locarno. «A fine mese smetterò di lavorare e chiuderò il negozio. È giunta anche per me l’ora di ritirarmi», dice sorridendo, ma con un velo di tristezza in viso.

Entrare nel salone è come fare un balzo indietro nel tempo, immergendosi in un’epoca e in un clima differenti da oggi. L’insegna rossa con la scritta “parrucchiere Eugenio Foradini”, le pareti verdi ricoperte da cartine e foto di paesaggi, scattate dallo stesso Eugenio, il bigliettino appeso alla porta che dice “questo negozio è aperto fino a quando non lo troverete chiuso”, la grande vetrina dove i clienti si specchiavano, le sedie in pelle nera dove si sedevano “per farsi belli”, i mobili fatti su misura; e poi le forbici, i pettini, il rasoio e il pennello per applicare la schiuma da barba: tutto in quel salone - che Eugenio continuerà per tutta l’intervista a chiamare “bottega” - ha una sua storia.

«Prima di fare il barbiere ho fatto per qualche tempo il fioraio, dal Motta, e lì ho preso il tifo. Brutta cosa!», esclama il parrucchiere. Che continua: «Dopo, il mio padrino mi consigliò di fare l’elettricista, ma nemmeno quello mi piaceva. Allora, sempre lui, mi disse di provare a fare il barbiere. Ho imparato il mestiere da un siciliano. Si chiamava Leonardo Carmelito. Mi innamorai subito della professione, quindi posso dire che la mia fortuna sta tutta nelle dita. All'inizio non ero in grado di usare la macchinetta. Carmelito mi disse: perché non provi con le forbici? Da allora non le ho più posate».

‘Clienti, ma prima ancora amici’

Alla chiacchierata si aggiunge anche Jolanda, la moglie di Eugenio. “Jole”, così viene affettuosamente chiamata dal marito, è sposata con il parrucchiere dal ’63 e insieme hanno un figlio, Flavio, ingegnere chimico, che ora vive Losanna. Nel 1967 il barbiere rileva il salone. Tante sono le persone che hanno varcato la soglia della “bottega”, e altrettanti i ricordi che Eugenio ha dei suoi clienti, con cui da sempre ha cercato di instaurare un legame d’amicizia. Coiffeurs e parrucchieri non solo ci sistemano capelli o barba, ma spesso diventano anche i nostri confidenti, persone con cui parlare durante il tempo d’attesa di una messa in piega o di una sessione di rasatura. «Mi ricordo che ai tempi veniva qui il Remo Rossi a tagliarsi i capelli e mi faceva: “Eugenio mi raccomando, non bagnarli troppo, se no si vedono gli scalini!”», dice ridendo il barbiere.

Clienti che potevano venire quando volevano, dato che Eugenio non ha mai preso nessuno su appuntamento: «Questo - dice Jolanda - per permettere anche a chi veniva dalle valli di potersi tagliare i capelli facilmente. Arrivavano e, se avevano tempo, si fermavano».

Eugenio Foradini è un barbiere vecchio stampo. Un parrucchiere di piazza. E forse lui, più di tutti, ha capito l’essenza stessa di quella Piazza Grande fatta di gente che viene e che va. L’ha vista trasformarsi, sia sulle vetrine dei negozi che cambiavano gerenza, sia sui volti dei suoi clienti, che si sono tramandati il parrucchiere di generazione in generazione. «Mi ricordo che bambini delle elementari qui di fianco, finita scuola, venivano da me. Poi quando sono cresciuti hanno portato i loro figli, poi i nipoti», racconta Eugenio.

Sul suo volto si legge bene la passione per questa professione; e la voglia di fare non è mai passata. Allora perché smettere proprio adesso? «Molti dei miei clienti, che poi sono amici, iniziano ad essere anziani, fanno fatica a venire. La mia clientela inizia a mancare. Inoltre il Covid mi ha dato il colpo di grazia. Una nuova chiusura adesso, che si dice arrivi una seconda ondata, sarebbe una rovina».

E così, alla fine di novembre le saracinesche verranno definitivamente abbassate. Ma non tutto è perduto. Infatti, degli acquirenti si sono detti interessati al negozio. «Un giorno ricevo una telefonata da un signore: mi dice che vorrebbe ricostruire il negozio tale e quale a Lucerna. Per me è una bella cosa: così continuerà a vivere».

La bottega non muore quindi, ma si cristallizza, esattamente come i minerali che Eugenio ama tanto fotografare e ricercare quando va in montagna. Fermo, immobile, sospeso nel bello di un’epoca e un clima differenti.

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