Bellinzonese

Aggressione con la mazza, imputato condannato a 13 anni e mezzo

La Corte ha confermato il reato di tentato assassinio per i fatti avvenuti nel magazzino di una stazione di servizio a Bellinzona

(Ti-Press)
8 marzo 2024
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Non regge la tesi difensiva del tentato omicidio commesso per eccesso di legittima difesa: l’imputato ha colpito una prima volta la vittima alla testa mentre era di spalle. Un’aggressione finalizzata a uccidere, premeditata e messa in pratica con particolare assenza di scrupoli. Sono le conclusioni della Corte delle Assise criminali presieduta dal giudice Amos Pagnamenta che oggi pomeriggio, in un’affollata aula penale di Lugano, ha condannato a 13 anni e mezzo di carcere il 51enne colpevole di aver ripetutamente colpito alla testa con una mazza di legno da hurling un conoscente 57enne al quale doveva 25mila franchi. Confermato dunque il reato di tentato assassinio (così come configurato nell’atto d’accusa) per i fatti avvenuti nel pomeriggio del 4 febbraio 2022 all’interno del magazzino della stazione di servizio Eni in via Emilio Motta a Bellinzona. Giorno in cui l’imputato aveva nuovamente promesso di finalmente consegnare i soldi. Soldi relativi alla vendita di un furgone di proprietà della vittima di cui l’imputato avrebbe dovuto occuparsi, salvo poi, all’insaputa del 57enne, cederlo a una terza persona per saldare un altro debito. Erano circa le 15.30 quando, entrati nel magazzino con vetri oscurati, il 51enne – cittadino svizzero di origini polacche che gestiva le stazione di servizio insieme ai genitori – ha afferrato la mazza da hurling e si è scagliato sulla vittima. Vittima trovata dagli agenti gravemente ferita in una pozza di sangue: è riuscita a cavarsela, ma è confrontata con lesioni cerebrali permanenti.

Per la Corte la colpa dell’imputato è di gravità estrema: ha agito senza scrupoli e a sangue freddo. «Una vera e propria mattanza con modalità subdole e perverse – ha affermato Pagnamenta durante la lettura della sentenza –. Abietto e ignobile è pure il movente: eliminare un creditore che dava fastidio. Il tutto per 25mila franchi. Non sapeva come uscire da quella situazione, la fantasia delle bugie per rimandare il pagamento si era esaurita». Peraltro, ha proseguito Pagnamenta, qualche mese prima l’imputato avrebbe avuto la possibilità di consegnare quanto dovuto.

‘Raramente abbiamo visto una tale propensione a mentire’

Pagnamenta non ha mancato di rimarcare le continue menzogne raccontate dall’imputato in sede d’inchiesta e anche durante il processo. «La vittima, nonostante le lesioni subite e le amnesie che ne derivano, si è dimostrata generalmente credibile e molte indicazioni hanno trovato una conferma». L’accusato ha invece «mentito su tutto. Raramente in quest’aula abbiamo visto una tale propensione a mentire», continuando ad adattare la sua versione in base alle contestazioni degli inquirenti e rifugiandosi dietro a continui “non ricordo”, sentiti copiosamente anche durante l’interrogatorio di mercoledì.

Venendo all’aggressione all’interno del magazzino – ricostruita sulla base delle dichiarazioni della vittima e delle perizie medico-legali –, per la Corte non c’è dubbio che i fatti si siano svolti come descritti nell’atto d’accusa: l’imputato ha condotto il 57enne all’interno del magazzino, ha atteso il momento giusto, ha afferrato la mazza (che aveva portato nel magazzino qualche settimana prima) e l’ha colpito una prima volta alla testa. Sulla base delle conclusioni dei periti incaricati di ricostruire la dinamica dei colpi, il primo è stato inflitto mentre la vittima si trovava in piedi, di spalle ed era del tutto inoffensiva, per poi inferire con almeno altri sette colpi quando il 57enne era steso a terra o inginocchiato.

La Corte non crede a quanto sostenuto dalla difesa, ovvero che sia stata la vittima, una volta appreso che i soldi non c’erano, ad aggredire l’accusato e che quest’ultimo abbia reagito per doversi difendere. «Anche su questo punto, l’imputato ha raccontato di tutto e di più», ha affermato Pagnamenta, sottolineando ancora una volta la totale non credibilità del 51enne. La tesi di un’azione di legittima difesa si scontra inoltre con le conclusioni dei periti in merito alla traiettoria dei colpi ricevuti dalla vittima, compatibili con un attacco da tergo. Semmai, ha proseguito Pagnamenta condividendo le conclusioni dell’accusa, farsi passare per vittima faceva parte del suo piano. L’imputato ha infatti sempre riferito delle minacce (inesistenti secondo la Corte) subite dal 57enne nel periodo precedente ai fatti del 4 febbraio 2022 e del timore che quel giorno potesse essere aggredito. Ma ciò si scontra ad ogni modo con il fatto che quella mattina l’imputato abbia disattivato le telecamere di sorveglianza. I messaggi via cellulare inviati dalla vittima erano diventati più insistenti, ma mai hanno dato motivo al 51enne di temere per la propria incolumità. E anche se si fosse sentito davvero minacciato, ha proseguito il giudice, mai avrebbe fatto in modo di trovarsi da solo con il 57enne in quel magazzino con i vetri oscurati.

Un altro elemento considerato dalla Corte è il comportamento a margine del suo scellerato agire. Con la vittima sanguinante stesa a terra, dall’esterno del magazzino ha risposto a un passante che andava tutto bene. Una volta colpito e steso il 57enne, al posto di chiamare i soccorsi, «l’unica sua premura è stata quella di cambiarsi i pantaloni», preoccupato di far vedere le macchie di sangue agli agenti che sarebbero accorsi da lì a poco (chiamati proprio dal passante che nonostante la risposta rassicurante dell’imputato, ha intuito che qualcosa non quadrava visto anche che la vetrina del magazzino era rotta). Nemmeno all’arrivo della polizia sul piazzale della stazione di servizio, l’imputato ha riferito che all’interno c’era la vittima, fortunatamente trovata da un agente entrato a controllare il locale. Per la Corte, la sola spiegazione delle macchie di sangue comunque rinvenute sui nuovi pantaloni, è un ultimo colpo con la mazza sferrato dopo essersi cambiato alla vittima stesa a terra, poco prima dell’arrivo della polizia.

Nella commisurazione della pena, la Corte si è allineata alla richiesta della procuratrice pubblica Pamela Pedretti (che giovedì aveva chiesto 14 anni), mentre la difesa, rappresentata dalle avvocate Maria Galliani e Micaela Negro, si era battuta per una pena compresa tra i 4 e i 5 anni di carcere.

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