Bellinzonese

A Carasso emerge un villaggio di oltre 3’000 anni fa

Riportati alla luce un imponente muraglione a margine dell'insediamento, resti di vasellame decorati e fosse per la cottura e l'essiccazione di alimenti

Un cosiddetto forno polinesiano
(Ti-Press/Crinari)
25 luglio 2023
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Già oltre 3’000 anni fa il quartiere di Carasso era abitato. In zona Lusanico (Lusànigh) sono infatti emersi i resti di un antico villaggio di agricoltori e allevatori risalente all’Età del Bronzo. «Ipotizziamo che vi fosse un insediamento formato da 5-10 capanne con una popolazione che permettesse l’edificazione anche di strutture importanti», ha affermato l’archeologa indipendente e consulente scientifica Rosanna Janke oggi, 25 luglio, durante una conferenza stampa che si è svolta proprio dove il Servizio archeologia dell’Ufficio dei beni culturali, dallo scorso aprile, sta conducendo uno scavo di salvataggio, in un’area di circa 2’000 metri quadrati. Strutture importanti come un poderoso muraglione realizzato a secco con massicci blocchi di pietra realizzato al margine meridionale del villaggio prima della piana alluvionale del fiume Ticino. La struttura «poteva essere difensiva o fungere quale delimitazione per gli animali domestici dalla zona alluvionale», ha precisato Janke. Tuttavia, è ancora in corso una valutazione per capire l’esatta funzione del muro.

Oltre all’imponente muraglione sono stati riportati alla luce anche resti di vasellame caratteristici dell’epoca: frammenti di ampie olle in ceramica grezza decorate destinate alla cottura e conservazione di alimenti, ma anche piccole olle e coppe più delicate, realizzate con maggiore cura. Sono pure stati ritrovati alcuni oggetti in pietra (frammenti di macine) e qualche lamella e scheggia di selce lavorata. È poi stato riportato alla luce anche un frammento di bronzo che potrebbe essere stato parte di una falce.

Reperti risalenti principalmente all'Età del Bronzo

Fra gli elementi più significativi vi è un fondo di capanna con il resto di una parete rivestita d’argilla in situazione di crollo. Ma anche diverse fosse nelle quali si cuocevano o essiccavano alimenti. Si tratta di cosiddetti forni polinesiani: in una buca nel terreno si genera dapprima un fuoco molto intenso che viene poi ricoperto da pietre. Nella fossa si inserisce il cibo e viene poi chiusa, permettendo una cottura lenta «anche di animali interi che potevano così sfamare l’intera popolazione del villaggio», ha sottolineato Janke. Quel che oggi rimane di questi antichi forni, sono le pietre e, soprattutto, il ben visibile carbone di colore nero nel terreno. Si trattava dunque «di una comunità di una certa dimensione, formata principalmente da agricoltori e allevatori». Più precisamente sono stati trovati reperti attribuibili ad almeno due fasi dell’Età del Bronzo, cui si aggiungono materiali archeologici che testimoniano pure di un’occupazione tardoromana-altomedievale. La località rappresenta infatti un luogo ideale d’insediamento per la sua posizione soleggiata e la presenza di suoli fertili da destinare alle colture, come dimostrano anche gli ampi vigneti che tuttavia stanno lentamente lasciando spazio a nuove edificazioni.

Il lavoro degli archeologi in questi ultimi mesi – lo scavo vede attivi, oltre a Janke, Luisa Mosetti e Michele Pellegrini, collaboratori del Servizio archeologico cantonale, affiancati da un’équipe di archeologi, tecnici, studenti e operai – non è per nulla stato facile visto che i reperti emersi si presentano a tratti disturbati da fenomeni di tipo alluvionale oltre che dall’attività agricola di epoca recente. La zona è infatti sempre stata caratterizzata da ruscellamenti e prima della bonifica del fiume Ticino nell’area vi erano paludi e zone acquitrinose. Per capire meglio come si presentava l’area 3’000 anni fa è quindi anche stata effettuata una lettura geopedologica del terreno, eseguita dagli specialisti Cristian Scapozza e Dorota Czerski, rispettivamente direttore e collaboratrice dell’Istituto scienze della Terra (Ist) della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (Supsi).

Importanza archeologica della zona nota da oltre 50 anni

Durante l’incontro con i media Rossana Cardani Vergani, a capo del Servizio archeologia, ha spiegato che l’importanza archeologica della località di Carasso è nota da oltre 50 anni: «Nel 1968 a Lusanico, in occasione della costruzione della Casa patriziale, erano emersi importanti resti strutturali ricollegabili all’Età del Bronzo e all’Alto Medioevo. Nel 1969, in zona Saleggi, dove si trova l’ex birreria, erano poi state trovate sepolture del periodo altomedievale». Insomma i ritrovamenti attuali confermano che «in zona Saleggi vi era una necropoli, mentre a Lusanico insediamenti». Insediamenti che si iscrivono nell’ampia zona alla confluenza con il Moesano, celebre a livello internazionale per aver restituito consistenti tracce archeologiche di una intensa attività antropica da riferire agli ultimi 7'000 anni. Si tratta quindi di un’ulteriore dimostrazione che il Bellinzonese era una zona molto attrattiva, trovandosi (come ancora attualmente) sull’asse di transito nord-sud.

‘Collaborazione esemplare’

Da parte sua Endrio Ruggiero, a capo dell’Ufficio beni culturali, ha sottolineato «la collaborazione esemplare» che si è instaurata sin da subito con i proprietari del fondo, ovvero la Fondazione per l’inclusione che sostiene le attività di Inclusione andicap Ticino che difende i diritti delle persone con disabilità. Fondazione che sul terreno in questione intende realizzare tre stabili con contenuti sociali, commerciali (è ad esempio previsto un negozio di alimentari) e abitativi. Un comparto che dovrebbe diventare «un centro di aggregazione per la comunità di Carasso», ha affermato il presidente della Fondazione Sergio Zufferey. Presidente che ha poi precisato di aver «iniziato al più presto la collaborazione con il Servizio archeologico», grazie al fatto che «in fase di pianificazione abbiamo avuto la fortuna di conoscere persone che stavano eseguendo scavi nella parcella confinante. Persone che ci hanno fatto capire l’importanza di questi scavi che permettono di conoscere meglio il nostro passato e la nostra cultura». Zufferey invita dunque «promotori immobiliari, architetti e tecnici ad attivarsi per tempo, contattando gli uffici preposti, così da evitare spiacevoli ritardi sul cantiere». I lavori di scavo dovrebbero terminare in autunno.

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