Bellinzonese

Famiglia afgana rischia l’espulsione: ‘Siamo stufi di scappare’

Contro la decisione della Sem ha ricorso al Tribunale amministrativo federale. Le esperienze terribili vissute durante la fuga. Grande mobilitazione

In sintesi:
  • La famiglia è ben integrata nel tessuto sociale bellinzonese e ticinese
  • Lettere scritte da amici, conoscenti, compagni di scuola e insegnanti, membri delle società di basket dei figli verranno inoltrate al Taf
Al centro Esmat con i figli Amir, Mohammad e il marito Gholam
13 giugno 2023
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Una vita senza diritti. “Voi sapete cosa significa avere diritto: all’amore, alla vita, alla pace, all’infanzia, all’istruzione, alla gioia… Ma per noi questi concetti sono vaghi. Sappiamo invece cosa vuol dire: immigrazione, umiliazione, oppressione, vagabondaggio e guerra. Noi siamo le ragazze afgane”. Sono le parole scritte a matita su un foglio che mi consegna Esmat Ebrahimi, madre afgana di 30 anni, che assieme ai suoi due figli Amir di 12, Mohammad di 8 anni e al marito Gholam di 37 anni vive a Bellinzona da alcuni mesi. Una famiglia che affronta le giornate col fiato sospeso in attesa di sapere quale sarà il suo destino. Una famiglia che per dieci anni non ha trovato terraferma sotto i piedi: dapprima costretta a scappare dall’Afghanistan, terra d’origine dove imperversava la guerra e una situazione estremamente difficile per le donne. Poi dall’Iran alla volta della Turchia, dopodiché la Grecia, una serie di altre nazioni fino alla Croazia dove sono stati registrati. Poi ancora un lungo percorso, in buona parte anche a piedi, fino a Bellinzona, quartiere delle Semine. Qui la famiglia si trova bene, i due bambini frequentano le Scuole elementari Sud, hanno amici, i genitori frequentano corsi di italiano e sono ben integrati. Appassionati di pallacanestro, i due figli giocano nel Basket Club 19 Arbedo e il più grande è entrato a far parte della selezione Ticino.

‘Maltrattati dalla polizia croata’

A pesare sul destino della famiglia è però la decisione, emessa nel marzo 2021 dalla Segreteria di Stato della migrazione (Sem), di non entrare nel merito della domanda d’asilo da loro depositata nel gennaio 2021. Alla famiglia è stato intimato di fare rientro in Croazia (nel novembre 2020 primo Paese dell'area Schengen in cui sono stati registrati, vedi accordi di Dublino). Contro questa decisione, tramite un legale la famiglia ha interposto ricorso, ancora pendente, al Tribunale amministrativo federale (Taf). Considerata la particolare vulnerabilità della situazione e gli sforzi d'integrazione già intrapresi dalla famiglia, il loro obiettivo è che le autorità preposte concedano un permesso di dimora per caso di rigore, evitando così l'espulsione. «Ho paura di tornare in Croazia». Esmat parla un buon italiano, fa una pausa, riprende fiato e mi guarda, il tono di voce si fa più cupo. «Lì abbiamo passato brutti momenti, abbiamo avuto esperienze terribili con la polizia. Gli agenti hanno picchiato me e mio marito, ci hanno spogliati per controllarci e ci hanno urlato di andarcene. Tutto questo davanti ai nostri figli, che pure sono stati spintonati. Loro sono terrorizzati e non posso davvero riportarli lì». Esmat non vuole più scappare, vuole stabilità e sicurezza per i suoi bambini. “Tutta la vita ho combattuto per i miei diritti – scrive – ma ora mi sento così stanca di essere una ragazza e madre afgana. Spero che le persone giuste e sagge sentano la nostra voce e il mondo rompa il silenzio di fronte a noi. Viva l’umanità e la giustizia”. Si chiude così la lettera che mi ha consegnato Esmat con gli occhi lucidi ma colmi di speranza.

‘Una famiglia ben integrata’

A dimostrazione di come la famiglia sia ben integrata nel tessuto sociale bellinzonese e ticinese vi sono lettere scritte da amici, conoscenti, compagni di scuola e insegnanti, nonché membri delle società di basket che verranno inoltrate al Taf. La famiglia afgana frequenta anche i corsi di italiano proposti dall’Associazione DaRe, Esmat fa teatro a Locarno e lavora a Vezia per la Croce Rossa come animatrice per bambini (di formazione è educatrice) e ha frequentato la Cooperativa Baobab di Bellinzona. La donna ha infatti collaborato con la biblioteca interculturale Bibliobaobab: «È una grande risorsa, è molto ben integrata e parla benissimo italiano», ci riferiscono le collaboratrici. I due figli frequentano invece ‘The social Truck’, il furgone itinerante della Cooperativa. «I ragazzi parlano bene italiano, hanno amici, socializzano con i coetanei e partecipano alle nostre attività», rileva Dario Marsilio, responsabile giovani Baobab. «Inoltre sono bravi giocatori di basket e abbiamo giocato insieme più volte al campetto».

I precedenti nel Bellinzonese

Nel 2014 Yasin Rahmany, giovane parrucchiere iraniano, residente a Bellinzona da 6 anni, aveva dovuto lasciare la Svizzera dando seguito alla decisione dell’Ufficio federale della migrazione (Ufm) che aveva respinto la richiesta di rinnovo del permesso di dimora. Un gruppo di amici aveva consegnato a Palazzo delle Orsoline 2’312 firme raccolte in soli 12 giorni, per chiedere al Consiglio di Stato di evitare l’espulsione dell’allora 23enne curdo che era fuggito nel 2008 dall’Iran perché minacciato. Altro caso è quello di Arlind Lokaj, l’allora 17enne kosovaro pure costretto a lasciare la Svizzera nel 2014. Ora vive in Kosovo dalla zia paterna lontano dalla madre che è in Ticino. Pure per lui la popolazione e gli amici avevano mostrato grande sostegno con un corteo nelle vie del centro storico. Infine nel 2018 Bewar Omar, un 31enne curdo iracheno che da dieci anni lavorava in un salone di parrucchieri a Bellinzona. In 4’644 avevano firmato una petizione che chiedeva che il giovane potesse restare in Ticino. Invano.

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