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Vittime dei mari

Tutte le specie di tartarughe marine esistenti sono a rischio estinzione. Muoiono per mano dei bracconieri o soffocate dalla spazzatura negli oceani.

© Jürgen Freund / WWF
19 ottobre 2019
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“Che sete! Da una settimana ci troviamo ammucchiate sulla coperta di questa nave, una sull’altra, senza spazio. Ci hanno fatto un buco nelle pinne anteriori per fissarvi un laccio, la ferita fa male, non posso muovermi. Quando raggiunsi la spiaggia era notte. Mi trascinavo innanzi faticosamente sulla sabbia, ansimavo. Ma non potevo fare altrimenti, volevo, dovevo deporre le mie uova proprio lì, nel posto dove io stessa ero nata. Tre anni fa ce l’avevo fatta. Con le pinne posteriori avevo scavato una buca profonda; avevo finito appena in tempo per vedervi ruzzolare più di 100 uova, simili ad altrettante palline da ping-pong. Le avevo ricoperte e poi ero ritornata in mare. Non c’è bisogno di covarle, le nostre uova, ci pensa da sola la sabbia calda. Anche se stranamente negli ultimi anni sono solo femmine le piccole che nascono. Se la sabbia è troppo calda succede questo. Non nascono maschi. Comunque, in quei giorni ero ritornata alla spiaggia altre due volte e vi avevo deposto le uova indisturbata. Questa volta non ci sono riuscita. Sono arrivati prima loro. Il fascio di luce delle torce ha frugato nelle tenebre, s’è fermato su di me. Le uova le hanno messe in una scatola di latta; me, mi hanno girata sul dorso, legata per le pinne a un palo e portata via così, penzoloni. Per quanto tempo ancora dovremo rimanere in coperta? I dolori aumentano e il sole ci tormenta, implacabile. So cosa ci aspetta. Saremo “messe sul mercato”, come usano dire gli animali bipedi appartenenti alla razza umana. Mangiano le nostre uova, cucinano la nostra carne o ne fanno zuppa e trasformano il nostro carapace in oggetti d’ornamento e montature d’occhiali. In tempi antichi certe civiltà ci veneravano: Visnù, una divinità indiana, prese la forma di una testuggine per salvare il mondo dalla rovina. Che tempi!”. Questa è la storia di una tartaruga marina. Completamente indifese in balia dei bracconieri: da milioni di anni le tartarughe marine ritornano alla spiaggia d’origine per deporvi le uova. Questo istinto ancestrale ne ha fatto una facile preda. Tutte le specie esistenti al momento sono a rischio estinzione. Se non muoiono per mano dei bracconieri, muoiono soffocate dalla spazzatura che galleggia negli oceani. In Svizzera il WWF si è adoperato – sin dai primi anni Ottanta – per ottenere il divieto d’importazione di montature di tartaruga. Oggi è vietato il commercio transfrontaliero di questo animale, così come dei suoi derivati. Ma c’è ancora tanto da fare per salvare questi “dinosauri” dei mari.

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Ti serve sul menù?

“È finita! Mi ha scavato fuori dal fango con le mani, non avevo scampo. Ora mi trovo in un canestro, con altre cento sorelle. Siamo il bottino di una notte, per pochi centesimi l’una. L’affare non è dunque il ragazzo a farlo, sarà il commerciante locale che gli comprerà le mie cosce. Un grosso affare, in verità. In Europa è vietato allevarci. Siamo protette. Ma le nostre cosce finiscono lo stesso in grandi quantità sui menù europei. Quindi milioni di noi arrivano dai Paesi dell’Est, dalla Turchia e dall’Asia. Qualche volta veniamo spedite vive e macellate sul posto. Con noi si possono fare bei soldoni e guadagnare è una qualità umana! E pensare, invece, che la gente ignora – purtroppo – il nostro vero valore. Nelle risaie, dove viviamo, divoriamo enormi quantità di insetti, lumache, topi e granchi che danneggiano le coltivazioni asiatiche. Se manchiamo noi, gli agricoltori devono ricorrere ai costosi prodotti chimici. Pensate un po’ che paradosso: ci vendono, ma poi spendono il triplo per importare pesticidi. Soldi che avrebbero potuto risparmiare se non accettassero la mattanza delle rane. In Cina hanno fatto un test: hanno scoperto che in un ettaro di risaia possono vivere fino a 12mila rane che divorano quotidianamente 740mila insetti. Le mie compagne svizzere sono protette e non possono essere mangiate. Noi invece veniamo importate dalla Turchia o dal Vietnam. Arriviamo in Svizzera per lo più congelate o in scatola, in minima parte – come dicevo – persino vive. Proveniamo tutte dalla vita in libertà, perché allevarci non riesce. Ora il ragazzo ha aperto il canestro. Mi rendo conto in questo momento che non verrò spedita viva in Europa. Davanti al ragazzo c’è un coltello con il quale tra un po’ ci staccherà le gambe. Ora tocca a me. Addio”. Ad oggi non esiste il divieto di importazione di cosce di rane. Si possono trovare nei negozi di specialità o in alcuni ristoranti. Ricordiamo che dove scarseggia la rana quale regolatrice naturale degli insetti, entra in funzione la chimica. Vengono impiegati anche pericolosi veleni. Veleni che poi – per via indiretta – finiscono sui nostri piatti con i prodotti acquistati. Da anni ci battiamo per il divieto di importazione di questo prodotto. Non solo: da anni proviamo a far inserire la rana tigrina – quella più utilizzata per il commercio di cosce di rana – all’interno dell’Appendice della Convenzione di Washington sul commercio internazionale di specie minacciate d’estinzione. La battaglia continua. Intanto, chiedetevi – casomai vi dovesse capitare di trovare questo prodotto sul menù – se mangiarle sia realmente necessario.

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