Svizzera

Il divieto di simboli nazisti serve solo fino a un certo punto

Per Samuel Althof l’estremismo è un fenomeno che va combattuto con altri mezzi. A cominciare da pene più severe

Servono correttivi
(Keystone)
12 gennaio 2023
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Il divieto del saluto hitleriano o della svastica renderebbe più difficile l’identificazione degli estremisti di destra e non avrebbe praticamente alcun effetto sulla forza di attrazione di questi gruppi. In ogni caso, qualora si volesse introdurre un divieto, esso dovrebbe limitarsi ai simboli nazisti ed essere accompagnato da pene severe.

Ne è convinto Samuel Althof, un esperto del tema, secondo cui il fenomeno non rappresenta un pericolo strutturale per la società, almeno in Svizzera. Per la Germania il discorso è diverso, stando all’esperto intervistato dal ‘Tages-Anzeiger’. L’estremismo di destra in Svizzera non è invece così accentuato come nel Paese confinante. Qui da noi il movimento è marginale; rappresenta un pericolo puntuale ma non strutturale.

Sebbene il divieto di far uso in pubblico di simboli nazisti possa rappresentare un segnale positivo, Althof mette in guardia da aspettative troppo elevate: il caso della Germania e dell’Austria dimostrano che una proibizione non ha portato a una contrazione delle tendenze estremiste né di atti imputabili a questi movimenti.

Althof non crede nemmeno che tali simboli abbiano un potere particolarmente attrattivo, benché rappresentino una chiara adesione all’ideologia nazista. Si tratta, appunto, solo di simboli, che in caso di divieto possono essere sostituiti, con la doppia 88 per esempio, sinonimo del saluto nazista (Heil Hitler, le due H, ottava lettera dell’alfabeto).

Secondo Althof, il fatto che esistano simboli anche dal significato ambiguo o duplice – come il martello di Thor frequente tra i gruppi Heavy Metal ma anche nella scena neonazista – obbligherebbe il legislatore ad adeguare continuamente la legge per tenere il passo con i cambiamenti.

Al quotidiano, l’esperto nega anche un qualsivoglia effetto preventivo di un simile divieto. Anzi, un divieto potrebbe rivelarsi negativo perché diventerebbe più difficile, a suo avviso, identificare i soggetti appartenenti a queste cerchie. Il lavoro degli esperti che studiano l’estremismo di destra verrebbe reso più difficile.

Ciò non significa tuttavia che un divieto sarebbe controproducente, a detta di Althof. Ma per avere un effetto deterrente esso dovrebbe essere accompagnato da pene severe – non basta insomma una lieve sanzione pecuniaria – e dall’obbligo di frequentare un programma di risocializzazione. Spesso, infatti, i giovani con problemi sociali e psichici cadono più facilmente nella rete delle ideologiste estremiste e razziste.

Un divieto potrebbe avere insomma carattere più che altro simbolico, trasmettendo un senso di falsa sicurezza poiché svastiche e orpelli legati al nazismo sarebbero meno presenti nello spazio pubblico. Dall’altro lato, però, bisogna prendere sul serio i timori espressi dalle comunità israelite, secondo Althof.

Un divieto avrebbe senso se venisse definito in maniera precisa, limitandosi ai simboli nazisti, accompagnato da pene chiare e severe. Tutto ciò significherebbe che in Svizzera non si tollerano persone che si riconoscono pubblicamente nell’ideologia nazionalsocialista.

Governo contrario

Per quanto attiene a un divieto dei simboli nazisti in pubblico, lo scorso febbraio il Consiglio federale, rispondendo a una mozione di Marianne Binder (Centro/Ag), sosteneva che benché croci uncinate e altri simboli potessero disturbare, tale uso doveva rimanere permesso, poiché rientrava nella libertà di espressione.

Con la sua mozione, Marianne Binder chiedeva una base legale a sé stante che vietasse e punisse l’utilizzo in pubblico, nel mondo reale e in quello digitale, di simboli noti del nazionalsocialismo, in particolare gesti, parole, forme di saluto, emblemi e bandiere, nonché oggetti che rappresentassero o contenessero tali simboli quali scritti, registrazioni sonore o video oppure raffigurazioni.

Nella sua risposta il governo ricordava che non era la prima volta che veniva confrontato con una simile richiesta, ma che finora tanto il Governo quanto il parlamento hanno preferito soprassedere. È vero che la norma penale antirazzismo punisce chiunque propaghi pubblicamente un’ideologia intesa a discreditare o calunniare sistematicamente persone per la loro razza, etnia, religione o per il loro orientamento sessuale, tuttavia sono le circostanze concrete a determinare se si tratta di un atto di propaganda.

Per il governo, il semplice fatto di manifestare pubblicamente simpatia per un’ideologia discriminatoria o di farvi riferimento, anche in maniera cinica, non costituisce ancora un atto di propaganda. L’autore deve inoltre voler influenzare terzi e farli aderire a questa ideologia. Se lo fa, si rende punibile secondo il diritto vigente.

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