Svizzera

‘Non ubbidisco ciecamente alla dottrina del partito’

Hans-Ueli Vogt è il candidato outsider alla poltrona di Ueli Maurer. Dice di avere ‘molteplici sfaccettature’ e di aderire appieno ai valori dell’Udc.

(Keystone)
5 dicembre 2022
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"Sono tenace". Lo ha dovuto ripetere svariate volte in questi giorni Hans-Ueli Vogt, sui giornali e alla tv. A perseguitarlo è un aneddoto: qualche anno fa uscì in lacrime da una seduta di commissione, dopo che la maggioranza dei suoi membri gli aveva negato il ruolo di relatore su una revisione del diritto della società anonima che lui aveva contribuito a forgiare. "Al sensibile Vogt manca ovviamente la durezza politica", ha scritto la ‘Weltwoche’. "In dieci anni di politica – ha spiegato in un’intervista apparsa giovedì sulla ‘Nzz’ – sono stato sopraffatto dalle emozioni una sola volta durante cinque minuti. Apparentemente si è creata la leggenda che non avrei la pelle dura. Ne prendo atto con un sorriso". Dunque non gliela (ri)faremo la domanda, in questa ennesima intervista («La numero…?»; «Ho smesso di contarle, da un bel po’») concessa dal candidato ‘outsider’ alla successione di Ueli Maurer in Consiglio federale. Non siamo dentro al chiassoso e affollato Palazzo federale, bensì in un’elegante e silenziosa sala dell’austero edificio sede dell’Istituto di giurisprudenza dell’Università di Zurigo, dove il professore insegna diritto privato ed economico.

Signor Vogt, conosce il Ticino?

Ci vado regolarmente, più volte all’anno. Nei weekend, o in ferie, per intere settimane, soprattutto quando da noi il cielo si ingrigisce e comincia a fare freddo. E poi oggi da Zurigo in due ore di treno si arriva a Lugano. Conosco anche la politica ticinese, in particolare grazie agli scambi col presidente del partito nonché amico Marco Chiesa.

Pressione sui salari, dumping, elevato numero di frontalieri in alcuni settori: come affronterebbe la questione se fosse eletto in Consiglio federale?

Sono problemi noti. I frontalieri sono certamente essenziali nella sanità e in altri settori. Tuttavia, la situazione particolare di un cantone di frontiera va affrontata con risposte specifiche, improntate al federalismo: come ha fatto proprio il Ticino, con contratti normali di lavoro e l’iniziativa ‘Prima i nostri’. Detto questo, a mio avviso le soluzioni sono da ricercare in accordi tra partner sociali nei settori interessati.

Sarebbe contrario all’estensione delle misure di accompagnamento?

Sì. Una regolamentazione eccessiva e uniforme, calata dall’alto, dalla Confederazione, non corrisponde alle mie convinzioni liberali in materia di economia. È giusto che le attuali misure fiancheggiatrici vengano attuate in modo rigoroso. Ma non dimentichiamo che un mercato del lavoro relativamente snello è un atout della Svizzera, un nostro vantaggio competitivo.

La pressione sui candidati al Consiglio federale è enorme. Come va il suo sonno?

Mi addormento velocemente, spesso esausto dopo giornate intense. E dormo molto bene. Capita talvolta che mi svegli prima del solito, sì. Ma in generale dormo bene e abbastanza. La motivazione è sempre al top, e ciò che mi dicono o scrivono le persone mi conforta. Percepisco la voglia, se non la necessità di un completamento, di un’aggiunta, di qualcuno che porti qualcosa di nuovo in Consiglio federale. Questo mi motiva enormemente.

In questi giorni è spesso a Palazzo federale per promuovere la sua candidatura. Lei passa per essere una persona piuttosto schiva. Quanta energia le costa questo continuo doversi presentare, spiegare, rispondere?

[sospira] È un’immagine, una narrazione che ha preso piede nelle ultime settimane. Può darsi che ci sia qualcosa di vero, ma poi – come spesso capita – queste narrazioni si trasformano in storie, in leggende. In realtà, nella mia professione quotidianamente sono a contatto con colleghi, collaboratori e studenti della facoltà, così come con avvocati e numerose altre persone. L’ultima cosa che vorrei è una professione con la quale starmene da solo, a lavorare per me stesso, in un ufficio grigio e silenzioso. Anche la mia vita privata è così: uno scambio continuo, con famigliari e amici. Però è vero: ogni tanto sento il bisogno di avere del tempo per me. Apprezzo la possibilità di lasciar decantare le cose, di riflettere, di elaborare le impressioni. La considero una forma di dedizione a ciò di cui mi occupo. Ma questo è solo un aspetto di un quadro assai più ampio.

Manca dal Parlamento da poco meno di un anno. È un handicap di peso il fatto di non essere più membro dell’Assemblea federale e di aver rassegnato le dimissioni con quella famosa metafora ("In Parlamento mi sento come un giocatore di tennis su un campo da calcio")?

Non lo vedo come tale. Sono stato sei anni al Nazionale, in fondo ho ‘perso’ soltanto tre sessioni. Il Parlamento è lo stesso, le persone mi conoscono. Le funzioni di parlamentare e di consigliere federale sono diverse, richiedono perciò personalità, esperienze e competenze diverse. Per il mio modo di essere, di lavorare, sempre orientato alla ricerca di soluzioni, di compromessi, la carica in seno a un esecutivo calzerebbe a pennello. L’avevo già spiegato quando ho annunciato le mie dimissioni, dettate anche dal fatto che diventava sempre più difficile conciliare l’attività di parlamentare con quelle di professore universitario e avvocato. Da consigliere federale, invece, potrei dedicarmi appieno – come a me piace – all’impegno politico, per la Svizzera.

Martedì si è sottoposto alle prime audizioni. Le opinioni sono già fatte, oppure gli hearings possono ancora cambiare le cose?

Credo che le audizioni abbiano una grande influenza. Permettono di intuire come qualcuno che è sempre stato parlamentare si vede nel ruolo di consigliere federale. Si tratta di una sorta di test, inteso a valutare se e in che modo la candidata o il candidato riuscirà a passare da un ruolo all’altro, ad adeguarsi – con le proprie convinzioni politiche – a un gremio retto dal principio di collegialità. Credo che molti parlamentari aspettino questi hearings per decidere chi eleggere.

Matrimonio per tutti, controprogetto all’iniziativa sulla responsabilità delle imprese: pensa di portare in dote una buona dose di consensi di Ps e Verdi, grazie alla sua posizione su questi temi?

Il mio posizionamento su certi temi è noto a tutti. Quindi non è con questo che voglio convincere. Mi preme invece mostrare come sia sempre stato in grado – sui temi da lei citati, ma ad esempio anche sulla revisione del diritto della società anonima, o sugli affitti dei commerci durante la pandemia – di lavorare oltre gli steccati partitici, alla ricerca di compromessi che potessero far avanzare le cose. È piuttosto parlando di questa capacità, di questo tipo di atteggiamento che cerco di persuadere. L’obiettivo è di far capire che di fronte hanno un uomo, un politico con salde convinzioni, ma che ha sempre dimostrato di essere pronto a fare un passo verso gli altri, a individuare la via del compromesso.

La personalità dei candidati al Consiglio federale ha un peso non trascurabile. Su questo piano Albert Rösti sembra avvantaggiato. È d’accordo?

Sono d’accordo su una cosa: la personalità è un fattore importante. Credo però che non vi sia un determinato tipo di personalità idonea per la funzione di cui parliamo qui. Io mi descriverei come una persona accessibile, ben disposta all’ascolto e alla comprensione dell’altro, in grado di sviluppare relazioni strette e improntate alla piena fiducia. Credo siano qualità importanti, se penso ad esempio alla direzione di un dipartimento federale. A mio avviso è auspicabile che molteplici competenze ed esperienze di vita – quindi differenti personalità – siano rappresentate nel Consiglio federale.

Nella Berna federale la si conosce come persona riservata, se non timida, un po’ solitaria. Allo stesso tempo, su Instagram rivela anche aspetti intimi della sua vita privata.

Tutto dipende da cosa intende per ‘intimo’.

Per esempio le foto in costume da bagno al ‘Marzili’, il Palazzo federale sullo sfondo…

Se considera intima la presenza di qualcuno in un bagno pubblico in piena estate, con migliaia di altre persone, allora con questo termine non intendiamo la stessa cosa.

‘Intimo’ relativamente a un candidato al Consiglio federale.

Sono candidato soltanto dal 19 ottobre, le foto sono antecedenti. E non mi è mai passato per la testa di cancellare qualcosa dal mio profilo Instagram solo perché lo sono diventato. Comunque, questo dimostra che molti faticano a capire come una persona possa avere molteplici sfaccettature. Nella mia cerchia personale e professionale nessuno direbbe che sono timido. Nei confronti degli altri ho un atteggiamento aperto, non complicato. Certo, non sono qualcuno che – quando non è richiesto – impone la propria presenza, che vuole sempre essere al centro dell’attenzione. Ma considero questo atteggiamento positivo per un organo collegiale: se i sette membri del Consiglio federale sgomitassero per farsi largo, non funzionerebbe.

Un candidato con diverse sfaccettature è un candidato non del tutto prevedibile. Di solito l’Assemblea federale opta per la prevedibilità. L’usato sicuro, insomma.

I parlamentari conoscono le mie posizioni, che corrispondono appieno ai valori del mio partito. Su alcuni temi di società e di politica economica attribuisco alla libertà un grande valore, e in questo a volte mi smarco un po’ dalla linea. È la prova che sono in grado, all’interno dei miei valori di riferimento, di formarmi un’opinione personale: non sono qualcuno che ubbidisce ciecamente alla dottrina del partito. E la mia attitudine al compromesso non va confusa con l’imprevedibilità.

Cittadino, intellettuale, omosessuale: non si sente un po’ esotico nel suo partito?

Assolutamente no. L’Udc ha una forza elettorale del 25-30%. Non sarebbe così se potesse contare unicamente sui voti delle persone che vivono in campagna. Il partito oggi viene votato anche da molte persone come me, da giovani, dagli abitanti delle città e degli agglomerati urbani, con una formazione superiore, che magari hanno pure vissuto all’estero.

Sarebbe il primo consigliere federale apertamente omosessuale. Che significato avrebbe?

Nessuno, per le sfide concrete che la Svizzera si trova a dover affrontare: le relazioni con l’Ue e la crisi energetica, per citarne soltanto un paio. La mia elezione sarebbe però un segnale: di quanto siamo aperti come società, di come ormai sia possibile – anche per un omosessuale – essere eletto nel Governo del Paese, per giunta dopo essere stato nominato da un partito conservatore come l’Udc.

chi è

Zurigo-Berna: andata,
ritorno e altra andata?

52 anni, vive a Zurigo. Rappresenta l’ala urbana dell’Udc, pur essendo cresciuto nella campagna zurighese. Consigliere nazionale dal 2015 alla fine del 2021. Si è dimesso dalla carica dichiarando di sentirsi "come un tennista su un campo da calcio" e di volersi concentrare sulla sua attività professionale. Giurista, professore di diritto privato ed economico all’Università di Zurigo. Apprezzato come politico costruttivo, propenso al compromesso. Pochi anni fa in Parlamento si era impegnato a fondo per un controprogetto all’iniziativa per imprese responsabili, guadagnandosi la stima dei colleghi di altri partiti ma attirandosi non poche critiche dai suoi. Anche le sue proposte nell’ambito della revisione del diritto della società anonima gli erano valse le lodi degli avversari e gli strali di suoi colleghi di partito. Dichiaratamente omosessuale, si è battuto per il ‘matrimonio per tutti’, contro il suo partito. È il ‘padre’ dell’iniziativa per l’autodeterminazione, respinta alle urne nel 2018, che voleva sancire il primato della Costituzione federale sul diritto internazionale. Di recente Christoph Blocher lo ha coinvolto nell’elaborazione della sua nuova iniziativa popolare sulla neutralità.

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