Svizzera

Attentato di Zugo, Pfister risente ancora delle conseguenze

"Spesso devo darmi una piccola spinta e ancora oggi mi sorprendo talvolta a guardare dove si trovi l'uscita d'emergenza", ha detto il politico 58enne

4 settembre 2021
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Vent'anni dopo, il politico zughese Gerhard Pfister risente ancora personalmente delle conseguenze dell'attentato al parlamento di Zugo, che aveva fatto 14 morti.

In un'intervista pubblicata oggi dalla Schweiz am Wochenende, il presidente del Centro spiega di sentirsi a disagio in spazi chiusi con molte persone. "Spesso devo darmi una piccola spinta e, ancora oggi, mi sorprendo talvolta a guardare dove si trovi l'uscita d'emergenza", ha spiegato il consigliere nazionale di 58 anni.

Pfister, allora deputato al parlamento zughese, non era stato ferito durante l'attentato avvenuto il 27 settembre del 2001. Si era sdraiato sul pavimento dietro una fila di banchi nella sala del Gran Consiglio, mentre l'attentatore sparava attorno a lui e abbatteva politici e politiche.

Pfister spiega che oggi ancora ha un riflesso d'allerta quando capita qualcosa di imprevisto nella sala del Consiglio nazionale, per esempio se cade il coperchio di un banco o se vi sono manifestazioni o agitazione nelle tribune.

"Tono più odioso"

Il 27 settembre 2001, un individuo che aveva un contenzioso con le autorità, era penetrato nella sala del parlamento zughese e aveva aperto il fuoco, abbattendo undici parlamentari e tre membri del governo prima di suicidarsi. Quindici altre persone erano rimaste ferite.

In questi tempi di pandemia, Pfister osserva una situazione di minaccia "difficile". Deplora il fatto che i consiglieri federali debbano essere posti più spesso sotto protezione. "Il tono diventa più odioso. C'è un rifiuto quasi irrazionale di discutere", rileva il consigliere nazionale.

Pfister aggiunge che un "dialogo duro" deve tuttavia rimanere possibile. "Una buona disputa è qualcosa di molto interessante e talvolta necessario", a suo avviso. Il limite si situa quando "l'odio entra in gioco e non si vede più l'altra persona come un essere umano ma come un nemico", conclude il presidente del Centro.

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