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I ‘senatori’: donne al lavoro fino a 65 anni

Consiglio degli Stati per l’aumento dell’età pensionabile e di manica stretta sulle compensazioni. Stralciato l’aumento delle pensioni per i coniugi.

Dibatti in corso alla Camera dei Cantoni
(Keystone)
15 marzo 2021
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Le donne dovranno lavorare un anno in più – fino a 65 anni anziché a 64 – per percepire la rendita Avs. Un supplemento mensile di rendita fino a 150 franchi verrà versato quale compensazione a quelle che andranno in pensione nei nove anni successivi all’entrata in vigore della riforma (costo complessivo: 420 milioni all’anno). Tutti potranno riscuotere anticipatamente la rendita a partire dai 63 anni. E la pensione delle coppie sposate non verrà aumentata. 

Sono questi gli elementi salienti della riforma dell’Avs approvata stasera dal Consiglio degli Stati con 31 voti contro 13. Solo la sinistra si è opposta. Ps e Verdi si sono battuti invano contro l’aumento della ‘età di riferimento’ per le donne e a favore di misure compensatorie più generose persino di quelle previste dal Consiglio federale (712 milioni), giudicate invece troppo esose dalla maggioranza dei ‘senatori’. La patata bollente passa ora nelle mani del Nazionale.

Nessuno ha contestato la necessità di una riforma. I cambiamenti a livello demografico, come l’invecchiamento della popolazione e il calo della natalità, stanno mettendo a dura prova i conti dell’Avs, ha affermato Erich Ettlin (Centro/Ow) a nome della commissione. Per garantire il finanziamento del primo pilastro fino al 2030 bisogna trovare 26 miliardi di franchi (vedi ‘Il contesto’).

Discriminate o no?

Un miliardo e 400 milioni all’anno entro il 2030 potranno essere racimolati aumentando a 65 anni l’età pensionabile delle donne. La sinistra si è scagliata contro quest’eventualità: le donne sono sempre discriminate a livello salariale e le rendite continuano ad essere inferiori a quelle degli uomini, ha sottolineato Paul Rechsteiner (Ps/Sg). Per il sangallese se ne potrebbe discutere solo se ci fosse una compensazione adeguata, ciò che non è il caso con la proposta governativa.

«Le donne non sono discriminate nell’Avs», ha replicato Damian Müller (Plr/Lu). In media, ha precisato, ricevono una rendita quattro anni più a lungo degli uomini. Con questa riforma, «nessuno avrà una pensione più bassa», ha aggiunto Pirmin Bischof (Centro/So). Una donna che lavora fino a 65 anni, ha aggiunto, riceverà una rendita Avs di 102 franchi superiore. Non si possono semplicemente accumulare debiti che peseranno sulle generazioni future, ha poi detto Hannes Germann (Udc/Sh).

Più che l’aumento dell’età di pensionamento in sé, a far discutere sono stati la cerchia dei beneficiari e l’ammontare delle misure compensatorie. La commissione proponeva che a beneficiarne fossero le donne che andranno in pensione nei sei anni successivi all’entrata in vigore della riforma, invece dei nove auspicati dall’esecutivo. In questo modo i costi delle misure di compensazione sarebbero scesi da 712 a 440 milioni di franchi all’anno nel 2030. All’esame del plenum vi erano ben otto varianti, per spese comprese tra 420 milioni e 2,6 miliardi. Alla fine si è imposta la variante di Peter Hegglin (Centro/Zg): compensazione per nove anni, con supplemento di rendita fino a 150 franchi al mese che dapprima aumenta gradualmente, poi rimane a 150 franchi e quindi diminuisce di nuovo. Costo: fino a 420 milioni l’anno. L’Unione sindacale svizzera parla di scelta “irrispettosa” compiuta “sulle spalle delle donne”.

Crolla il nuovo ‘tetto’ per i coniugi

Ha diviso gli animi anche la proposta della commissione di innalzare il tetto per le rendite dei coniugi dal 150 al 155% della rendita massima (costo: 650 milioni all’anno). È una questione di giustizia: oggi le coppie sposate sono penalizzate rispetto ai concubini, ha sostenuto Hegglin. L’obiettivo del progetto ‘Avs 21’ è consolidare il primo pilastro, non aggiungere nuove prestazioni, ha replicato Alain Berset, che a nome del Consiglio federale ha chiesto uno 0,7%.

il contesto

Ultima riforma nel 1997

La popolazione invecchia, le nascite rallentano: il divario tra il numero di chi è a beneficio della pensione e quello degli attivi si approfondisce. Se nel 1948, agli albori dell’Avs, la rendita di un pensionato veniva finanziata da 6,5 persone attive, oggi la proporzione è di 1:3,4; avanti di questo passo e fra 30 anni sarà di 1:2. Anche perché entro il 2035 andrà in pensione la generazione del baby boom (i nati fra il 1955 e il 1970). Già dal 2014 le uscite dell’Avs (le rendite) sono sistematicamente superiori alle entrate (i contributi salariali più l apartecipazione della Confederazione). Una boccata d’ossigeno sono i 2 miliardi all’anno che ormai confluiscono nelle casse dell’Avs per effetto della riforma dell’imposizione delle imprese (Rffa) accettata dal popolo nel 2019. Ma ne serviranno altri 26 entro il 2030 per correggere lo squilibrio e garantire il livello delle prestazioni. Non lo si potrà fare ricorrendo nuovamente a finanziamenti supplementari, come quello portato in dote dalla Rffa. Servirà invece una riforma materiale che modernizzi l’Avs, ha fatto notare il consigliere federale Alain Berset durante il dibattito al Consiglio degli Stati. Di riforme vere e proprie non se ne vedono da quasi 25 anni. L’ultimo progetto andato in porto – la decima revisione dell’Avs – risale al 1997. La prima versione dell’11esima revisione dell’Avs è naufragata davanti al popolo nel 2004 (prevedeva anch’essa un aumento dell’età di pensionamento), la seconda in votazione finale al Consiglio nazionale (2010). L’ultimo flop, nel 2017, è la riforma congiunta del primo e del secondo pilastro (il progetto ‘Previdenza vecchiaia 2020’): un altro ‘no’ popolare all’aumento dell’età di pensionamento per le donne. Una questione che è al centro anche della nuova riforma disegnata nel 2019 dal Consiglio federale, ora all’esame del Parlamento.

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