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Maudet colpevole, sentenza ‘neutra’ sul piano elettorale

Per Pascal Sciarini, politologo dell’Università di Ginevra, il verdetto non avrà grandi conseguenze sull’esito della ‘suppletiva’ per il Consiglio di Stato

Maudet non si dà per vinto, né sul piano giudiziario né su quello politico
(Keystone)
23 febbraio 2021
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Non è facile tracciare la linea rossa tra una legittima rete di conoscenze a servizio della collettività e il rischio di esporsi a influenze esterne accettando inviti. Lo ha ricordato ieri il corrispondente dalla Romandia della ‘Neue Zürcher Zeitung’, all’indomani della sentenza con cui il consigliere di Stato ginevrino Pierre Maudet è stato condannato in prima istanza proprio per accettazione di vantaggi in relazione all’ormai famoso viaggio ad Abu Dhabi del 2015 (cfr. ‘laRegione’ di ieri). Rischi di corruzione, possibilità di destituzione, implicazioni politiche del verdetto: ‘laRegione’ ne ha parlato con Pascal Sciarini, politologo dell’Università di Ginevra.  

Professore, Pierre Maudet ha sempre detto – evitando però di precisare il grado di giudizio al quale si riferiva – che si sarebbe ritirato qualora un giorno fosse stato condannato da un tribunale. Ora, nonostante la sentenza di lunedì, mantiene la candidatura alla sua propria successione all’elezione suppletiva per il Consiglio di Stato del 7 marzo. Non solo: Maudet potrebbe essere nuovamente candidato nel 2023, magari con un nuovo partito. Questa ostinazione la sorprende?

Non proprio. Mi ha molto sorpreso la sua decisione di ricandidarsi, contro venti e maree. Ciò che dimostra una capacità di resilienza abbastanza stupefacente. Quanto alle dimissioni, pensavo lo avrebbe fatto molto prima. Ma ha sempre trovato dei sotterfugi per restare in carica: dapprima dicendo che non si farebbe fatto da parte fintanto che non sarebbe stato aperto un procedimento nei suoi confronti; poi, una volta indagato, affermando che solo in caso di condanna si sarebbe dimesso. Alla fine, lo scorso ottobre ha rassegnato le dimissioni solo dopo che i suoi colleghi di governo gli hanno tolto anche le ultime prerogative rimastegli, mettendolo praticamente alla porta. Maudet si è ritirato prima della sentenza, evitando così di dover onorare la sua promessa di andarsene in caso di condanna. La sua ultima difesa è quella di dire: è il popolo che mi ha eletto [e rieletto trionfalmente un’altra volta nel 2018, n.d.r.], quindi è con il popolo che sono debitore in ultima istanza ed è lui che deve decidere se devo restare o no al governo.

Questa ricerca spasmodica del contatto con ‘la base’, della legittimità popolare, è qualcosa di abbastanza inabituale in Svizzera. Non è così?

Sì. Ma è comprensibile. Da quando è stato escluso dalla sezione ginevrina [nel luglio del 2020, n.d.r.], Maudet non ha più un partito. È sostenuto da Elan radical. Ma questo nuovo mini-partito, creato da una manciata di politici locali del Plr, non ha niente a che vedere con un partito vero e proprio come il Plr, con una struttura solida, ramificazioni a livello comunale e associative, sostegni importanti. Tutto questo Maudet lo ha perso. Ha dunque bisogno di stabilire un legame diretto con il popolo. Così, ad esempio, quasi tutti i giorni pubblica sul suo sito internet videomessaggi di piccoli commercianti e altre persone colpite dalla pandemia; e accoglie in un ufficio itinerante a Ginevra le vittime della “violenza amministrativa” in relazione alla crisi economica. Un approccio molto demagogico, populista. Che si può capire. Perché è l’unico modo per tentare di compensare la perdita della base partitica.

C’è chi parla di “colpo di grazia politico” e chi al contrario sostiene che Maudet sia in realtà “il gran vincitore di questo show giuridico-mediatico” che è stato il processo della scorsa settimana (il giornalista Pascal Décaillet). Chi ha ragione?

Né gli uni, né gli altri. La sentenza non lo favorisce, perché non può far altro che deteriorare ancora un po’ la sua immagine. D’altro canto, non credo che il verdetto avrà grandi conseguenze. Potrà tutt’al più far diminuire il numero degli indecisi, finora rimasti in bilico tra il sostegno a un Maudet che ha fatto un buon lavoro come consigliere di Stato e il rifiuto di un Maudet che ha mentito nella vicenda del viaggio ad Abu Dhabi. Una parte di loro potrebbe scaricarlo. Ma non parliamo di una grande massa di voti. Non penso che la sentenza avrà conseguenze fondamentali sul comportamento dell’elettorato.

Un Plr già scosso da anni di lotte intestine approfitterà il 7 marzo della sentenza di colpevolezza nei confronti di Maudet? Oppure ne uscirà ulteriormente indebolito? 

Il Plr ginevrino ha già sofferto molto negli ultimi due anni, perdendo terreno sia alle federali del 2019 che alle comunali dello scorso anno. Il partito è stato destabilizzato dalla vicenda Maudet. Le vicissitudini del suo ex enfant prodige hanno già creato profonde divisioni al suo interno, smobilitando il suo elettorato e spingendone una parte a votare altri partiti: i Verdi liberali, ad esempio. La sentenza legittima la posizione del partito, che ha scelto di espellere il suo consigliere di Stato; ma alla fine per il Plr ginevrino non dovrebbe cambiare granché, sotto questo profilo. D‘altro canto, non sono affatto convinto che il partito – a dieci giorni dall’elezione – trarrà vantaggio. La destra si presenta divisa, la sinistra invece no: e questo – in vista di un probabile ballottaggio – non favorisce certo il candidato del Plr, né lo stesso Maudet. Più in generale, non sono nemmeno convinto che la sentenza – e l’interesse mediatico che ha generato – influenzerà in maniera fondamentale l’elezione. Per contro, il fatto che il 7 marzo si vota sia su tre oggetti federali che per un’elezione cantonale (qualcosa di piuttosto inedito per Ginevra), rappresenta un’incognita. 

Maudet ha rassegnato le dimissioni dal Consiglio di Stato solo dopo che i suoi colleghi di governo gli hanno ritirato anche le sue ultime prerogative di consigliere di Stato. Probabilmente non saremmo arrivati a questo punto, se anche a Ginevra – come in Ticino, ad esempio – esistesse un meccanismo che permette di destituire o revocare il mandato di un membro di un esecutivo in carica. 

Due iniziative popolari dette ‘anti-Maudet’, che prevedevano un meccanismo di destituzione delle autorità, non sono riuscite a raccogliere un numero sufficiente di firme e sono fallite nel 2019. Nel 2011, in occasione della revisione totale della Costituzione cantonale, non si pensava che potesse accedere qualcosa di simile al caso Maudet, una vicenda che ha tenuto in scacco per due anni la vita politica del cantone. Adesso invece sappiamo che è possibile. Un tale meccanismo, una forma di sanzione da parte del popolo, sarebbe auspicabile. Fungerebbe da deterrente, tra l’altro: sapendo che esiste, gli eletti sarebbero ancora più attenti a come si comportano.

Il primo consigliere di Stato in carica a essere condannato per corruzione in Svizzera; un politico di successo, che della rettitudine ha sempre fatto uno dei suoi punti forti, che crolla sotto il peso di una bugia. C’è chi dice che poteva capitare soltanto a Ginevra, che si tratta di una ennesima ‘Genferei’ (la consigliera nazionale Udc Céline Amaudruz). Anche lei la pensa così?

Vicende problematiche sono emerse negli ultimi anni anche in altri cantoni e a livello federale. Detto questo, non è un caso se il termine ‘Genferei’ [‘ginevrata’, n.d.r.] esiste. Qui questo genere di cose – benché non tutte clamorose come l’‘affaire’ Maudet – accade con una certa regolarità. Per la sua posizione geografica particolare, la sua esiguità, il suo tessuto socio-economico, il canton Ginevra è altamente sensibile all’andamento congiunturale: quando la situazione è buona, a Ginevra è buonissima; quando va male, a Ginevra va malissimo. Diciamo così: il cantone ha una certa propensione per gli eccessi, nel bene e nel male.

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