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Accordo con l’Indonesia, pietra miliare o d’inciampo?

I favorevoli vantano un’intesa ‘pionieristica’. I contrari: l’olio di palma sostenibile non esiste. Si vota il 7 marzo, ecco l’essenziale da sapere.

Sostenibilità in discussione
(Keystone)
9 febbraio 2021
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Perché si vota?

La Svizzera e gli altri Stati dell’Associazione europea di libero scambio (Norvegia, Islanda e Liechtenstein) hanno firmato con l’Indonesia nel dicembre del 2018 un esteso accordo commerciale, denominato Accordo di partenariato economico globale con l’Indonesia (Cepa). Il Consiglio nazionale e il Consiglio degli Stati lo hanno approvato un anno più tardi. Contro l’accordo è stato lanciato un referendum. Il sindacato agricolo Uniterre, associazioni a favore del clima e dei diritti umani e il viticoltore indipendente ginevrino Willy Cretegny hanno raccolto oltre 61mila firme, più delle 50mila necessarie. Sarà quindi il popolo a decidere. Si vota il 7 marzo.

Perché un accordo con l’Indonesia?

Con i suoi quasi 270 milioni di abitanti, l’Indonesia è il quarto paese più popolato al mondo. La sua economia ha conosciuto un notevole sviluppo ed è destinata a crescere nei prossimi anni. Il paese asiatico vanta inoltre un ceto medio emergente. Per le aziende elvetiche votate all’export, il potenziale di crescita è grande. Eliminando i dazi doganali sul 98 per cento delle esportazioni svizzere, il Cepa crea nuovi e più sicuri sbocchi verso questo mercato, alternativo a quello cinese. L’accordo rientra nella politica di libero scambio della Confederazione (oltre 30 accordi firmati con più di 40 paesi al di fuori dell’Ue e dell’Aels). Consente inoltre alla Svizzera di battere sul tempo l’Unione europea, anch’essa impegnata in negoziati con l’Indonesia, e di eliminare l’attuale svantaggio concorrenziale nei confronti di Stati che già hanno concluso intese di questo tipo col paese asiatico. L’Indonesia, dal canto suo, ottiene importanti concessioni: in particolare, l’esenzione dai dazi sui prodotti industriali e la riduzione dei dazi sull’olio di palma.

Qual è la posta in gioco?

L’accordo regola gli scambi con l’Indonesia, un partner commerciale non di primo piano per la Svizzera. Ma la sua valenza va ben oltre il caso specifico. È la prima volta che la Svizzera subordina la riduzione dei dazi all’importazione al rispetto di criteri di sostenibilità. I sostenitori parlano di un approccio “pionieristico”, di una “pietra miliare”. Il Cepa in futuro potrebbe in effetti fungere da modello nelle trattative per accordi di libero scambio tra la Svizzera e partner commerciali di maggior peso, come il Mercosur (il mercato comune sudamericano), quando la discussione verterà su materie prime alimentari almeno altrettanto ‘sensibili’ dell’olio di palma (soja, carne di manzo, zucchero, ecc.).

Cosa ne è dell’olio di palma?

L’accordo è onnicomprensivo: copre tutti i settori economici. Ma a tenere banco è appunto l’olio di palma, presente in modo più o meno visibile in innumerevoli prodotti alimentari che consumiamo quotidianamente. Il Cepa – visto dal Consiglio federale anche come un’occasione per lanciare “un chiaro segnale a favore degli sforzi globali per una produzione (...) più sostenibile” – non ne liberalizza il commercio. I dazi doganali non vengono aboliti, ma ridotti; e soltanto del 20-40%. Di questa riduzione, poi, potrà beneficiare unicamente l’olio di palma ‘sostenibile’, ossia proveniente da terreni non oggetto di deforestazione, incendi forestali o drenaggio delle torbiere e prodotto nel rispetto dei diritti delle popolazioni e dei lavoratori indigeni. Gli ‘sconti’ all’importazione, infine, valgono solo per un contingente limitato: fino a 12’500 tonnellate all’anno.

Come si pensa di garantire che l’olio di palma importato sia effettivamente sostenibile?

Il Consiglio federale lo specifica in un’ordinanza in consultazione fino al 1. aprile (entrerà in vigore solo in caso di approvazione dell’accordo il 7 marzo). L’importatore che vuole importare olio di palma dall’Indonesia all’aliquota preferenziale dev’essere certificato secondo uno dei quattro standard (il più noto è il controverso marchio Rspo) riconosciuti come idonei, standard che – assicura il governo – sono i più severi esistenti al momento sul mercato. Le partite di merci dovranno essere trasportate esclusivamente in cisterne di al massimo 22 tonnellate, in modo da minimizzare il rischio di mescolare olio certificato e non. Per importare olio a tasso preferenziale, gli importatori certificati dovranno inoltre farsi rilasciare un attestato di sostenibilità dalla Segreteria di Stato dell’economia (da notare: il Cepa non vieta l’importazione di olio non certificato; semplicemente, chi lo farà arrivare in Svizzera non potrà beneficiare della riduzione dei dazi). Gli importatori si impegnano inoltre, nella dichiarazione doganale, a garantire che anche le merci di ogni singola spedizione siano certificate secondo i relativi standard di sostenibilità. L’effettiva certificazione della singola partita potrà infine essere verificata mediante controlli a posteriori. In caso di infrazione, la Seco esigerà la differenza di dazio; se del caso, l’importatore verrà sanzionato con multe e una pena privativa della libertà di un anno al massimo.

Perché l’olio di palma è una spina nel fianco per i referendisti?

L’olio di palma sostenibile non esiste, affermano. L’Indonesia non è disposta ad applicare standard ecologici e sociali per evitare la distruzione di foreste primordiali ricche di specie. Circa un milione di ettari vengono bonificati ogni anno, tra l’altro per fare spazio alle monocolture di olio di palma, di cui l’Indonesia è il maggior produttore al mondo. Un recente studio del Wwf ha mostrato che le importazioni svizzere di olio di palma contribuiscono alla deforestazione di vaste aree del territorio. E la prevista certificazione sull’origine della materia prima non offre garanzie sufficienti in fatto di rispetto dei diritti umani, deforestazione o uso dei pesticidi. Mancano infatti controlli e sanzioni efficaci.

Una minaccia per gli agricoltori svizzeri?

Negli ultimi anni la Svizzera ha importato in media 32mila tonnellate di olio di palma, 811 delle quali dall’Indonesia (il 2,5% del totale, quota scesa allo 0,1% nel 2019). Il Consiglio federale ritiene possibile che a lungo termine, in seguito all’accordo, l’Indonesia guadagni nuove quote di mercato a scapito di altri paesi; come la Malaysia, che è di gran lunga il primo esportatore di olio di palma in Svizzera. Nel complesso, assicura il governo, il volume di olio di palma importato non dovrebbe però aumentare con l’entrata in vigore dell’accordo. Quindi “nessun pericolo” per la produzione nazionale di olio di colza e di girasole. Un’argomentazione contestata dai referendisti (che temono invece un’ulteriore pressione sui prezzi degli oli indigeni), ma che ha fatto presa sui vertici dell’Unione svizzera dei contadini (Usc): la principale organizzazione del mondo agricolo, solitamente critica nei confronti degli accordi di libero scambio, ha deciso di non combattere quello con l’Indonesia. Anche perché la maggior parte dei prodotti agricoli indonesiani – la frutta tropicale, ad esempio – completano l’offerta sul nostro mercato e non sono in concorrenza con quelli svizzeri. Inoltre, scrive la Seco, le concessioni nel settore agricolo sono concepite “in modo tale da non rappresentare un pericolo per l’agricoltura elvetica”.

Chi è a favore dell’accordo?

Consiglio federale, Parlamento, i principali partiti borghesi (Partito verde liberale compreso) e le maggiori organizzazioni economiche. Come detto, il comitato direttivo dell’Usc non appoggia il referendum. Il Wwf ha annunciato “un sostegno prudente” all’accordo, che non viene combattuto nemmeno da organizzazioni non governative battagliere come Public Eye e Greenpeace. Lo stesso dicasi per la coalizione di Ong Alliance Sud e la Federazione romanda dei consumatori. In Parlamento il Ps aveva votato contro, ma nel frattempo dovrebbe aver cambiato idea. Non c’è ancora una raccomandazione di voto ufficiale. Ma a favore si sono espressi tra gli altri la co-presidente Mattea Meyer e diversi esponenti del partito. Come il consigliere nazionale Fabian Molina, co-presidente di Swissaid, Ong che si occupa di cooperazione allo sviluppo: “Senza accordo, l’olio di palma semplicemente continuerà ad arrivare in Svizzera secondo le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio – senza regole sulla sostenibilità”, ha dichiarato al ‘Tages-Anzeiger’. Anche Walhi, la principale Ong indonesiana attiva nella protezione dell’ambiente, sostiene il Cepa.

Perché votare ‘sì’?

L’Indonesia è un mercato dall’enorme potenziale per le aziende svizzere, grandi e piccole, tanto più in un periodo di crisi come questo. L’accordo coniuga commercio e sostenibilità: la riduzione dei dazi doganali sull’olio di palma si applica solo a un quantitativo limitato e a condizione che determinati criteri di sostenibilità vengano rispettati. Un approccio innovativo, grazie al quale la Svizzera incentiva la produzione sostenibile di olio di palma e che potrà essere replicato per altri accordi in futuro. I contadini svizzeri non hanno nulla da temere nulla (vedi sopra). La Svizzera si avvantaggia rispetto ad altri concorrenti (Ue, Stati Uniti, ecc.) che non hanno ancora concluso un accordo analogo con l’Indonesia.

Chi è contrario all’accordo?

Il referendum è stato promosso in particolare dal ‘sindacato’ agricolo romando Uniterre e dal viticoltore indipendente ginevrino Willy Cretegny. Sono spalleggiati da Verdi, Partito evangelico (Pev), Unione democratica federale (Udf), Gioventù socialista svizzera (Gss), alcune sezioni romande del Ps, Pro Natura e svariate, piccole organizzazioni ambientaliste e agricole.

Perché votare ‘no’?

L’olio di palma ‘sostenibile’ non esiste: l’accordo promette sostenibilità, ma in realtà consolida una politica dannosa per l’uomo e per l’ambiente. L’Indonesia non è un partner affidabile e la norma Rspo, il principale marchio che certifica l’olio di palma sostenibile, non fornisce alcuna garanzia contro la deforestazione e per il rispetto dei diritti umani. Nell’accordo, al capitolo sostenibilità, mancano meccanismi di controllo vincolanti e sanzioni efficaci. Gli accordi di libero scambio sono il motore di una globalizzazione che gonfia i profitti delle multinazionali e al contempo svantaggia i piccoli produttori locali, danneggiando anche ambiente e clima. L’olio di palma a basso costo fa concorrenza alle colture indigene, in particolare a quelle di girasole e colza, spingendone ancor più al ribasso i prezzi. Le disposizioni sulla protezione della proprietà intellettuale avvantaggiano l’industria elvetica (quella farmaceutica, soprattutto), ma per la popolazione locale significano tra l’altro farmaci più cari e un accesso più difficile alle sementi.

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