Svizzera

Aborto di una siriana respinta, nessun risarcimento

Perse il bambino dopo essere stata rimandata dal confine franco-svizzero a Domodossola. Il Dipartimento federale delle finanze sceglie la linea dura

(Keystone)
19 gennaio 2021
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Nessun risarcimento alla donna siriana che ha subito un aborto spontaneo dopo essere stata respinta e caricata su un treno per l’Italia dalle guardie di frontiera svizzere. A deciderlo è stato il Dipartimento federale delle finanze, secondo il quale le autorità non possono essere considerate direttamente responsabili di quanto successo.

Poco importa il fatto che il mancato supporto medico alla donna fosse stato già riscontrato in sede di processo. Il sergente maggiore finito davanti ai giudici militari era sì stato condannato in appello per lesioni colpose e ripetuta inosservanza delle prescrizioni di servizio, ma non – come invece in primo grado – per tentata interruzione di gravidanza. Da parte sua, l’interessato ha sempre sostenuto di non essersi reso conto delle condizioni della donna fino al momento in cui è stata caricata sul treno, dopodiché avrebbe immediatamente avvertito i colleghi italiani. Un’indagine interna dell’Amministrazione federale delle dogane aveva ritenuto giustificabile un indennizzo fino a un massimo 10mila franchi. Cifra giudicata irrisoria dalla parte lesa, che ne chiedeva almeno 50mila.

Fu fermata a Vallorbe

I fatti risalgono al 2014. La donna, allora 22enne e al settimo mese di gravidanza, fu fermata al confine tra Svizzera e Francia di Vallorbe (Vaud) insieme a oltre una trentina di profughi siriani; nella notte tra il 3 e il 4 luglio stavano cercando di raggiungere proprio la Francia sul treno Milano-Parigi. Avendo fatto richiesta d’asilo in Italia, però, vi erano stati rispediti come da prescrizioni del controverso Regolamento di Dublino. 

Prima di venire caricata su un treno a Briga con destinazione Domodossola, la donna fu sottoposta prima a fermo nei locali delle guardie di frontiera. Un’odissea durata quasi mezza giornata. Stando a quanto dichiarato dal marito al momento del processo, i soccorsi non furono chiamati nonostante ore di dolori lancinanti e sanguinamenti. Solo una volta giunta in Italia la donna fu ricoverata, ma i medici non poterono fare altro che constatare l’aborto per distacco della placenta, un evento che mette a rischio anche la vita della madre. 

Dina Raewel, l’avvocata della 29enne, giudica inaccettabile la decisione e stando alla ‘Srf’ ha già promesso che ricorrerà al Tribunale amministrativo federale. Ai giudici di San Gallo toccherà dunque l’ennesima decisione su un caso rispetto al quale Berna cerca di far prevalere la linea dura.

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