Svizzera

Soldi a chi produce materiale bellico? Ecco la posta in gioco

Il 29 si vota sull’iniziativa che vuole vietarne il finanziamento. L’essenziale da sapere in una serie di domande e risposte.

(Keystone)
28 novembre 2020
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Su cosa votiamo?

Sull’iniziativa popolare ‘Per il divieto di finanziare i produttori di materiale bellico’, lanciata nel 2017 dal Gruppo per una Svizzera senza esercito (Gsse) e dai Giovani Verdi.

Cosa chiede l’iniziativa?

Di vietare alla Banca nazionale svizzera (Bns), alle fondazioni, all’Avs/Ai e alle 1’562 casse pensione svizzere di finanziare le imprese che realizzano oltre il 5% del loro giro d’affari annuo con la fabbricazione di materiale bellico. Per ‘finanziamento’ si intende anzitutto la concessione di crediti, mutui, donazioni o vantaggi finanziari comparabili. Sarebbero proibiti anche la partecipazione societaria e l’acquisto di titoli e quote di prodotti finanziari emessi da produttori di materiale bellico. L’iniziativa chiede inoltre che la Confederazione si adoperi a livello nazionale e internazionale affinché le stesse regole si applichino anche a banche e assicurazioni. Se il 29 la proposta di modifica costituzionale verrà accolta da popolo e cantoni, i finanziamenti dovranno essere liquidati entro quattro anni.

Non è già oggi vietato finanziare i produttori di materiale bellico?

In Svizzera si produce e si finanzia materiale bellico (o sue componenti). La fabbricazione, l’esportazione e l’importazione sono soggette ad autorizzazione. Non possono per contro essere fabbricate e finanziate armi atomiche, biologiche e chimiche, né mine antiuomo e munizioni a grappolo. Il divieto di finanziamento prevede però un’eccezione: riguarda i fondi azionari che si sono affermati sui mercati internazionali. Questi possono contenere anche azioni di imprese che, oltre a produrre beni a scopo civile, fabbricano pure armi atomiche o loro componenti. È il caso di Airbus e Boeing, note per i loro aerei.

Cosa cambierebbe con l’iniziativa?

Il divieto di finanziamento attuale verrebbe esteso. Non sarebbe più circoscritto alle armi il cui impiego è oggetto di condanna internazionale (vedi sopra), ma riguardare i produttori di tutti i tipi di materiale bellico (quindi anche carri armati, sistemi di difesa antiaerea, pistole e le loro componenti), ovunque nel mondo. Inoltre, sarebbe proibita anche la detenzione di azioni di imprese che producono materiale bellico, come pure di quote di fondi che contengono tali azioni.

Chi sostiene l’iniziativa?

Tra i partiti soltanto Ps, Verdi e Pev (evangelici). Alcune sezioni cantonali e quella giovanile del Ppd non seguono la parola d’ordine del partito nazionale e raccomandano di votare sì. Anche l’Udc del Basso Vallese e i giovani Plr sciaffusano sono per il ‘sì’. I Verdi liberali grigionesi lasciano libertà di voto. Sostengono l’iniziativa anche l’Unione sindacale svizzera (Uss), il sindacato Vpod e una quarantina di organizzazioni (Solidarité sans frontières, humanrights.ch, ecc.).

Perché votare ‘sì’?

Anzitutto per frenare la produzione internazionale di armi, contribuendo così alla riduzione del numero di conflitti e quindi alla prevenzione delle migrazioni forzate. Oggi il commercio di materiale di guerra è fiorente. La Svizzera fa la sua parte, permettendo che i soldi dei contribuenti vadano a fomentare i conflitti. Un ‘sì’ all’iniziativa sarebbe un passo verso un mondo più pacifico. Inoltre la Svizzera è un Paese neutrale, con una lunga tradizione nella promozione del diritto umanitario, dei diritti dell’uomo e della risoluzione pacifica dei conflitti. Allo stesso tempo miliardi di franchi vengono investiti per finanziare i produttori di materiale bellico: una palese contraddizione. L’iniziativa invece protegge la reputazione internazionale della Confederazione. E non solo quella: anche il settore finanziario ci guadagnerebbe con una maggior trasparenza e investimenti più etici e sostenibili. Spesso chi investe in prodotti finanziari sostenibili realizza rendimento addirittura migliori. Ne è un esempio la cassa pensione della città di Zurigo, che dal 2016 esclude sistematicamente dal suo portafoglio i produttori di armi atomiche e di munizioni a grappolo.

Chi la combatte?

Il Consiglio federale, così come la maggioranza borghese del Parlamento e tutti i partiti che la compongono (Udc, Plr, Ppd, Pbd, Verdi liberali; unica eccezione il Pev). Contrarie sono anche tutte le principali organizzazioni del mondo economico (Economiesuisse, Usam, Unione svizzera degli imprenditori, Swissmem), l’Associazione svizzera degli istituti di previdenza e l’Associazione svizzera d’assicurazioni. 

Perché votare ‘no’?

Perché l’attuale divieto di finanziamento, accanto al rigido controllo sull’export di armi,  raggiunge l’obiettivo. Quello esteso proposto dall’iniziativa – un unicum al mondo, sostiene il Consiglio federale – non avrebbe alcun impatto sulla produzione mondiale di materiale bellico, di cui la Svizzera fornisce una porzione ininfluente (meno dell’1%). Per giunta indebolirebbe la piazza economica e finanziaria svizzera. Le opportunità di investimento delle casse pensione e dell’Avs/Ai si ridurrebbero a poche aziende e diventerebbero più costose: sono da attendersi infatti costi amministrativi enormi per le verifiche della quota di fatturato nel settore degli armamenti. Un impatto negativo sulle rendite di vecchiaia non è escluso. L’iniziativa inoltre danneggia l’economia. Il divieto non riguarderebbe unicamente le grandi imprese d’armamento, peraltro già alle prese con una situazione non rosea. Nella vasta definizione di ‘produttori di materiale bellico’ rientrerebbero anche le numerose piccole e medie imprese (Pmi) che – accanto a beni a scopo prettamente civile – riforniscono queste ultime producendo componenti o assemblandole. Le Pmi – in particolare quelle dell’industria meccanica, elettrotecnica e metallurgica – non sarebbero più in grado di investire nello sviluppo dei loro prodotti e per migliorare il posizionamento sul mercato, poiché non riceverebbero più prestiti dalle banche. Lo scenario: perdita di competitività, di conoscenze e di posti di lavoro. A detta degli oppositori, poi, l’iniziativa introdurrebbe criteri politici per gli investimenti della Bns, mettendone a repentaglio l’indipendenza che la Costituzione federale le garantisce. Infine, a repentaglio c’è anche l’indipendenza dell’esercito svizzero, che per procurarsi il materiale di cui necessita si vedrebbe costretto a rivolgersi sempre più spesso all’estero.  

Qual è il pronostico?

L’iniziativa approda alle urne in compagnia di quella denominata ‘Per imprese responsabili’, sulla quale è focalizzata l’attenzione dei media. Rimasta nell’ombra, la proposta di Giovani Verdi e Gsse potrebbe approfittare della forte mobilitazione dell’elettorato giovane e di sinistra (ma non solo) a favore dell’iniziativa ‘cugina’. I sondaggi davano i favorevoli in vantaggio fino a un paio di settimane fa. Il secondo rilevamento effettuato a fine ottobre da Tamedia/20 Minuten indicava un 51% di ‘sì’ e un 46% di ‘no’. Il primo sondaggio realizzato a metà ottobre dal gfs.bern per conto della Ssr registrava un 54% di consensi per l’iniziativa; il 41% degli intervistati si diceva ‘contrario’ o ‘piuttosto contrario’. Tuttavia, annotava l’istituto demoscopico, se il testo segue l’evoluzione normale della formazione dell’opinione sulle iniziative, finirà per essere bocciato. Non va dimenticato poi che, trattandosi di una modifica costituzionale, serve anche la maggioranza dei Cantoni. Un ostacolo che appare difficilmente superabile. Nel 2009, un’altra iniziativa del Gsse che auspicava il divieto di esportare materiale bellico venne bocciata dal 68,2% degli elettori.

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