Svizzera

Bici e coronavirus, 'in Svizzera abbiamo mancato la svolta'

Solo a Ginevra e in poche altre località la pandemia ha portato alla realizzazione di piste ciclabili temporanee. Intervista a Patrick Rérat, geografo delle mobilità.

(Keystone)
3 giugno 2020
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In tutta la Svizzera, dall'11 maggio treni, bus e tram circolano quasi a pieno regime. Ma la loro occupazione non è quella di prima. La paura del contagio - alimentata anche dai dubbi circa l'effettiva utilità o no delle mascherine, raccomandate negli orari di punta ma delle quali s'è sempre detto che non proteggono granché chi le indossa - tiene ancora parecchi utenti alla larga dai trasporti pubblici. In molti, distanziamento sociale oblige, preferiscono al momento ripiegare sulla vettura per recarsi al lavoro. Andando così a intasare molte strade che già prima della pandemia erano sature. Una tendenza destinata a consolidarsi? Oppure anche la bicicletta - tradizionale o elettrica, (ri)scoperta durante il lockdown quale mezzo di trasporto sicuro - continuerà a guadagnare terreno in questa fase di deconfinamento, se non oltre? Dobbiamo aspettarci un aumento dei conflitti fra traffico motorizzato e mobilità lenta? Il punto con Patrick Rérat, professore di geografia delle mobilità all'Università di Losanna.

Professor Rérat, in che modo la pandemia sta arricchendo la sua riflessione sulla mobilità?

Fino a poco tempo fa quasi nessuno utilizzava il termine 'démobilité' (traducibile in italiano con 'demobilità'). Ma è ciò che abbiamo vissuto in questi ultimi due, tre mesi.

Cosa intende?

Una riduzione del numero e della lunghezza degli spostamenti. Grazie in particolare alla diffusione del telelavoro, qualcosa che conoscevamo già, ma sul quale abbiamo potuto apprendere molto di questi tempi. Durante la pandemia abbiamo anche assistito a una riscoperta della prossimità. Molte persone, uscendo di casa per fare due passi o le compere, magari in bici, hanno riscoperto il loro quartiere, il loro villaggio. Bisognerebbe sfruttare questa situazione, perché ci siamo resi conto - al netto di tutti gli aspetti negativi del confinamento - quanto fosse piacevole avere città più calme, meno inquinate.

Il concetto di 'demobilità' non l'ha portato il coronavirus, comunque.

No, esisteva già. Ma con la pandemia ha acquisito una nuova valenza. Sono grossomodo tre i modi di concepire la transizione verso una mobilità durevole. Il primo è migliorare il sistema, grazie a innovazioni tecnologiche - come le auto elettriche - che ci consentono di consumare meno energie fossili e quindi di ridurre l'inquinamento. Il secondo è trasferire, cioè fare in modo che chi utilizza l'auto decida di spostarsi con i trasporti pubblici, in bicicletta o a piedi. Non si cambia niente, semplicemente ci si sposta in maniera diversa. La terza opzione è appunto la 'demobilità': evitare di spostarsi, o di farlo su lunghe distanze. Le domande che si pongono sono le seguenti: perché ci spostiamo? Possiamo fare le stesse cose spostandoci meno?

Passata la pandemia, non rischiamo di dimenticarcele? In una recente intervista a 'Le Temps', lei ha affermato che "la Svizzera sembra mancare la svolta verso la bici che la crisi sanitaria le offriva".

Sappiamo che attualmente tra la popolazione c'è una certa mancanza di fiducia nei trasporti pubblici. Non si capisce bene come i due metri di distanza possano essere osservati nei treni, ma soprattutto nei bus e nei tram. Sarebbe quindi interessante se, perlomeno durante un certo lasso di tempo, una parte degli utenti del trasporto pubblico decidesse di spostarsi in bici o a piedi. In questo senso, la promozione della bicicletta è di stretta attualità anche in Svizzera. 

In tutto il mondo diverse città (Berlino, Londra, Milano, Bruxelles, ecc.) hanno creato nuove piste ciclabili temporanee durante la pandemia. In Svizzera solo Ginevra lo ha fatto, sopprimendo decine di parcheggi. 

L''urbanismo tattico' - ossia interventi urbanistici rapidi e temporanei a favore della mobilità lenta - ha preso piede un po' ovunque, in effetti. In Francia, per esempio, sono stati creati o stanno per essere creati mille chilometri di piste ciclabili. Vengono soppressi posteggi per lasciare spazio a piste ciclabili, oppure strade per il traffico motorizzato sono riservate alla mobilità lenta. In Svizzera, a parte Ginevra (che ha creato 7 chilometri 'ciclabili'), Vevey (che ha chiuso per quattro mesi un tratto di lungolago di qualche decina di metri) e Losanna (che chiuderà la strada del lungolago durante i fine settimana), non è stato fatto granché. Per questo parlo di svolta mancata.

Come mai? Quali sono gli ostacoli?

Sono di diverso tipo. Anzitutto l''urbanismo tattico', l'idea di 'destinazione transitoria', gli interventi rapidi non corrispondono esattamente al sistema svizzero. Qui si pianifica il territorio a lungo termine, discutendo molto. La reattività, l'idea di agire subito, non fa parte dei costumi elvetici. Poi c'è forse una mancata presa di coscienza dell'importanza di rispettare le distanze sociali. In questo senso: il rispetto di questa consegna non può essere delegata esclusivamente al singolo; bisogna che anche le autorità permettano alle persone di farlo, creino le giuste condizioni, anche a livello di infrastruttura. Andare a piedi o in bici permette di osservare più facilmente la regola del distanziamento sociale. Ma si deve anche fornire loro lo spazio necessario, non basta incitare la gente a usare la bici o a camminare. Questo è importante sia per gli spostamenti quotidiani, casa-lavoro, sia per quelli legati al tempo libero e al turismo. Quest'estate trascorreremo le vacanze in Svizzera. Con molte persone in giro, alcune località saranno messe sotto pressione. Se vogliamo che la regola del distanziamento sociale venga seguita, dovrà anche esserci più spazio a disposizione di pedoni e ciclisti.   

Se l'attuale, diffusa reticenza a utilizzare i trasporti pubblici perdurerà, assisteremo a conflitti più acuti e frequenti fra traffico motorizzato e traffico lento?

È un rischio. Constatiamo che questo tipo di conflitto è in aumento. La bicicletta viene sempre più utilizzata nelle città svizzere. Ma le infrastrutture - fatta eccezione per Berna e Basilea - non seguono questo sviluppo. La coabitazione traffico motorizzato/bici va organizzata, altrimenti - a causa della differenza di velocità, di taglia e a livello di vulnerabilità fra i due tipi di mezzi di trasporto - avremo dei problemi. La coabitazione può essere resa possibile separando i flussi, creando delle corsie apposite per vetture e bici; oppure riducendo la velocità del traffico motorizzato, con zone a 20 o 30 all'ora. Se non andiamo in questa direzione, rischiamo che la bicicletta venga utilizzata soltanto dalle persone più in forma, che si sentono sicure di sé, mentre tutti gli altri - gli anziani in particolare - resteranno tagliati fuori.

Sotto questo profilo, che figura fa la Svizzera nel confronto internazionale?

Il problema principale, in Svizzera, è proprio la mancanza di sicurezza: è questa che impedisce a un maggior numero di persone di utilizzare la bici per gli spostamenti quotidiani. In confronto ai Paesi Bassi, che rappresentano la referenza in quest'ambito, da noi i ciclisti presentano un tasso di incidenti gravi rispetto ai chilometri percorsi due volte più elevato. Senza contare il fatto che nei Paesi Bassi molte più persone della terza e della quarta età vanno in bici. La qualità delle infrastrutture è il fattore che più di altri spiega questa differenza.

Infrastrutture non all'altezza: da dove dovremmo cominciare per colmare le lacune esistenti?

In Svizzera, fino a poco tempo fa, si è sempre pensato di poter 'mescolare' biciclette e auto. Si pensava che le corsie ciclabili - quelle delimitate dalla pittura gialla sulle carreggiate - fossero sufficienti. Solo recentemente ci si è resi conto che bisogna spingersi oltre. La futura legge sulle vie ciclabili (il controprogetto all'iniziativa popolare 'per la bici', che il Consiglio federale ha messo in consultazione a metà mese, ndr) rappresenta un salto di qualità da questo punto di vista. Se la norma fin qui era la corsia ciclabile, d'ora in poi sarà la pista ciclabile, separata fisicamente (con paletti e altri accorgimenti divisori, cordoli, dislivelli, ecc.) dal traffico motorizzato. L'altro problema è la continuità della rete ciclabile, spesso interrotta in molti cantoni e città. Le rotonde sono tra i punti più critici. In Svizzera, spesso le corsie ciclabili si fermano lì e il ciclista è lasciato a sé stesso. Non a caso un terzo degli incidenti nelle rotonde vede coinvolta una bici; e nel 90% dei casi, la responsabilità non è del ciclista, ma dell'altro utente della strada. Nei Paesi Bassi esistono rotonde apposite per le bici, costruite attorno a quelle per il traffico motorizzato: e così la coabitazione funziona bene.

Prendere la bici per andare a lavorare: una soluzione che prenderà piede anche in Svizzera?

La bici assumerà un'importanza maggiore. Per svariate ragioni: la necessità di rispettare le distanze, perché permette di mantenersi in salute (molti medici sostengono la bici, in quanto consente alle persone di fare esercizio fisico senza rendersi conto), perché contribuisce a frenare il riscaldamento globale e a ridurre l'inquinamento, anche quello sonoro. E poi la bicicletta evolve. Oggi quasi il 40% delle bici vendute in Svizzera sono 'elettriche', a pedalata assistita. Questo cambia totalmente la pratica, ampliando le possibilità in termini di distanza e di percorsi. Se vengono costruite le infrastrutture adeguate, il potenziale è molto grande. Oggi il 7% degli svizzeri va a lavorare in bici. Questa percentuale a mio avviso potrebbe raddoppiare nei prossimi anni. Anche perché il trasporto combinato (bici/treno o bici/bus, ndr) conosce un forte sviluppo come opzione per il tragitto casa/lavoro. Basti pensare ai grandi parcheggi per biciclette sorti negli ultimi anni nelle adiacenze delle stazioni ferroviarie, soprattutto nella Svizzera tedesca. Berna ha cinque velostazioni, per esempio. Ma anche una cittadina come Aarau ha due grandi velostazioni, da una parte e l'altra dei binari. Rimpiazzare l'automobile con un solo altro mezzo di trasporto è difficile. Più facile è farlo combinandone diversi.

 

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