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Pascal Couchepin e il rilancio ‘dal basso’ del turismo

Gestione della pandemia, uscita dal ‘lockdown’: Intervista all’ex consigliere federale Le mascherine? ‘Settimana prossima, dal barbiere’.

(Keystone)
24 aprile 2020
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Signor Couchepin, come vive questa pandemia?

La vivo bene. Sono privilegiato. Ho un giardino. Sono in buona forma fisica. A mia moglie piace preparare dei piatti nuovi. Leggo. Ho numerosi contatti umani. Non vorrei dire che sono quasi più felice. Ma in ogni caso non sono infelice.

Vede i suoi famigliari?

Sì, sì. Vengono in giardino e ci salutiamo. Nessuna sofferenza.

Quando esce e va, per dire, al supermercato... Indossa una mascherina di protezione?

Evito di andare là dove c'è parecchia gente. Ogni mattina esco a comprare il pane, sapendo di essere solo nella panetteria. Scambio due parole. Poi, tornando, lascio il pane sulla finestra dell'appartamento di mio figlio. Se devo andare in banca, o qualcosa del genere, prima telefono: quando sono lì firmo e poi riparto subito. I miei figli fanno la spesa per noi. Voilà.

Niente mascherina, dunque.

No, per il momento. Ma la prossima settimana andrò dal barbiere. A casa ho qualche mascherina. Ne utilizzerò una, poi la metterò nel forno a 70 gradi. Come mi è stato indicato.

Il Consiglio federale ha presentato un piano di uscita graduale dal 'lockdown' molto prudente. Come lo trova?

Nel complesso lo trovo ragionevole. Alcuni partiti, il mio in particolare (il Plr, ndr), vorrebbero un'uscita più rapida. Se fossi in governo, li ascolterei e penserei che in fondo, forse, hanno ragione. Ma i rischi di un'uscita troppo veloce sarebbero sproporzionatamente più elevati rispetto ai danni che i piccoli commerci subiscono nell'attesa di essere messi sullo stesso piano della grande distribuzione. Credo che il Consiglio federale abbia agito in modo prudente dal punto di vista politico.

Anche la ristorazione e il settore alberghiero lanciano un grido d'allarme. La presidente della Confederazione Simonetta Sommaruga ha invitato i loro rappresentanti a un incontro, domenica, a Berna. Cosa si aspetta?

Il problema del turismo è europeo. Tutti i Paesi europei, non solo la Svizzera, sono colpiti dalle restrizioni. Se questi settori venissero autorizzati a riaprire prima, ci sarebbe comunque un problema di clientela: si potrebbe contare praticamente solo su quella svizzera. Alcuni giorni in più, per riflettere su come si potrebbe rianimare il turismo nelle diverse regioni, non saranno giorni perduti. 

Da dove si dovrebbe cominciare?

In Vallese, per esempio, sono convinto che bisognerebbe riunire un certo numero di attori del settore per vedere quali sono le idee di rilancio. Un'idea potrebbe essere alleggerire un po' il carico fiscale dei proprietari di residenze secondarie che quest'anno affittano i loro immobili. Rianimare il turismo partendo dagli attori del settore, e non dallo Stato che distribuisce - non sempre bene - dei soldi: questa è la cosa da fare.

L'estate per il Vallese, come se la immagina?

Non siamo messi così male. Abbiamo soppresso gli eventi culturali, questo sì. Ma stamattina, passeggiando, mi chiedevo se non sia possibile fare delle animazioni turistiche decentralizzate, comune per comune, con piccoli gruppi di 50-100 persone. Dobbiamo moltiplicare le iniziative sul piano comunale, nelle città e nei paesi.

Il Consiglio federale ha seguito una via molto pragmatica nella gestione della pandemia: tre quarti delle attività produttive hanno continuato a funzionare, ha fatto notare il ministro della sanità Alain Berset in una recente intervista al nostro giornale; e in Svizzera si è deciso di non limitare severamente i movimenti delle persone, diversamente da quanto avviene in Francia e in Italia. È stata la scelta giusta?

Per quanto riguarda quest'ultimo punto, secondo me è stato giusto volere un confinamento "liberale", fedele alla Svizzera, che è un Paese d'autorità ma non autoritario. Si è contato molto sul buon senso della popolazione e sul controllo sociale. Ed è stata una buona cosa. Per quanto riguarda le attività economiche, quello che conta non è tanto questa cifra, quanto la produttività. Che è stata bassa.

Lo Stato interviene in maniera importante per sostenere l'economia. Non teme un'esplosione del debito pubblico?

A livello federale, se in futuro non si esagererà, credo che il rischio non sia così elevato. La proporzione del debito pubblico rispetto al Prodotto interno lordo aumenterà, questo sì. Ma il debito pubblico della Confederazione è relativamente basso. Grazie ai partiti borghesi, è stato nettamente ridotto negli ultimi anni. La sinistra ha continuato a dire che bisognava spendere tutti i soldi disponibili, e anche di più. L'idea è stata respinta, e siamo stati accorti a farlo. Per di più, buona parte degli aiuti erogati dalla Confederazione sono dei prestiti, non soldi a fondo perso. La situazione, per cantoni come il Vallese e il Ticino, è più grave. Qui sarà necessario un dibattito politico, sia nel Gran Consiglio che nella popolazione, affinché i governi cantonali siano chiamati a rendere conto, a dimostrare qual è l'efficacia delle misure prese.

A sinistra si invoca un piano congiunturale, con investimenti statali e altri interventi per rilanciare i consumi. Cosa ne pensa?

Investire per fare cosa? Ho sentito il signor Levrat (Christian, presidente del Ps: ndr) dire che bisogna dare 200 franchi a ogni abitante per far crescere i consumi privati. Ho incontrato diverse persone che mi dicono che nelle ultime settimane hanno risparmiato, perché non hanno potuto uscire di casa. La maggior parte della popolazione continua a ricevere lo stipendio o le prestazioni sociali. Certo, chi è nel bisogno va aiutato. Ma distribuire a ciascuno 200 franchi vuol dire rischiare di spendere invano. La sinistra, ma in un certo senso anch'io, da anni sostiene che bisogna andare verso una società più sobria. Adesso non può tutt'a un tratto venirci a dire che è necessario rilanciare i consumi, per giunta in maniera indifferenziata e con i mezzi dello Stato.

E investimenti nelle infrastrutture, ad esempio?

Levrat dice anche che bisogna sviluppare le infrastrutture. Ma quali infrastrutture? Le strade, le ferrovie? Le capacità sono limitate. Più intelligente sarebbe stato investire nello sviluppo della rete 5G. Il Consiglio federale però ha rinunciato a farlo. E a mio parere ha fatto un grave errore, perché questo sarebbe stato un mezzo di rilancio importante. Comunque lo sappiamo: i piani keynesiani non portano frutti prima di sette, dieci mesi dal loro lancio. Troppo tardi. Io spero che, fra sette o dieci mesi, avremo già recuperato una parte della perdita del Prodotto interno lordo. 

In una recente intervista al 'Tages-Anzeiger', a proposito delle forniture in ambito medico, ha affermato: "Questa dipendenza dalla Cina mi preoccupa". Si può tornare indietro? Come?

Ci siamo spinti molto - non direi troppo - lontano. Ciò aveva una sua logica. Anni fa avevo chiesto a un economista se l'inflazione sarebbe tornata. Lui mi aveva risposto "No, perché c'è un Paese - la Cina - che è capace tutto ciò che si vuole". Quindi la Cina, per la sua potenza produttiva, è stata un fattore importante di limitazione dell'inflazione. Ma si tratta pur sempre di uno Stato autoritario, anche se si comporta in maniera tutto sommato ragionevole. E per la Svizzera dipendere da uno Stato autoritario per quanto riguarda le forniture essenziali, è sempre un po' delicato. Tra Paesi vicini, o a livello di Unione europea, bisognerebbe riflettere su come evitare in futuro un'eccessiva dipendenza da un solo Paese, e ristabilire invece delle fonti di approvvigionamento locali o diversificate per determinati prodotti.

 

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