Svizzera

Non mancano respiratori ma medici e infermieri specializzati

Due responsabili della Società svizzera di medicina intensiva richiamano l'attenzione sulla penuria di personale formato

Serve una preparazione ad hoc di 2 anni (Ti-Press)
22 marzo 2020
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Il problema più grande della Svizzera nella crisi del coronavirus non sarà il numero di letti e di respiratori, ma la mancanza di personale sanitario in terapia intensiva. Lo sostengono due medici della Società svizzera di medicina intensiva (Ssmi).

"Sono convinta che il materiale e i letti non saranno il nostro problema principale nell'imminente ondata pandemica, ma il personale", ha detto Antje Heise, vicepresidente della Ssmi e medico capo del reparto di terapia intensiva dell'ospedale di Thun, nel Canton Berna, in un'intervista alla "SonntagsZeitung" e a "Le Matin Dimanche". Il numero di posti potrebbe aumentare rapidamente con soluzioni creative, ha detto ancora Heise. La grande questione è se ci sarà sufficiente personale sanitario formato specificamente per la medicina intensiva.

Questa opinione è condivisa anche da Thierry Fumeaux, presidente della Ssmi e corresponsabile delle cure intensive all'ospedale di Nyon, nel Canton Vaud, in un'intervista rilasciata alla "SonntagsZeitung". Se necessario, si potrebbero organizzare centinaia di respiratori, per esempio con il Servizio sanitario coordinato o con l'esercito. "Ma difficilmente possiamo aumentare il numero del personale di terapia intensiva", ha detto Fumeaux.

Formazione impegnativa di due anni

A tale proposito Heise ha dichiarato che "la terapia intensiva è un corso di due anni dopo la laurea molto impegnativo. Non si può imparare in due settimane. Se improvvisamente ci sono molti casi di Covid-19, solo il personale di terapia intensiva è in grado di assistere correttamente i pazienti, ha sottolineato.

Inoltre, verrà a mancare una parte del personale "perché si infetta e poi rimane assente per qualche giorno", ha detto Fumeaux, che è stato lui stesso contagiato dal coronavirus. Il suo caso non è insolito, ha dichiarato Fumeaux. In Italia il 10% delle persone infettate è rappresentato da personale medico, nonostante tutte le misure di precauzione, ha precisato. Fumeaux si è detto comunque "molto fiducioso" di tornare a essere in buona salute tra qualche giorno.

Evitare lo sfinimento totale

L'Ssmi ha assicurato che nelle prossime settimane lavorerà nel reparto di terapia intensiva il maggior numero possibile di personale formato. Tuttavia, è necessario prendersi cura di quest'ultimo. "In una pandemia, infermieri e medici lavorano spesso fino allo sfinimento totale, mettendosi a rischio. È fondamentale che non permettiamo che questo accada", ha detto Heise. In caso di una catastrofe, i gruppi di assistenza e gli psicologi sono a disposizione del personale.

Se davvero non ci dovessero essere sufficienti risorse, secondo la Ssmi la priorità va ai pazienti che hanno la prognosi migliore. "Ma in nessun caso si deve discriminare in base all'età, alla condizione sociale o ad altri fattori", ha detto Fumeaux. Il medico deve decidere in modo tale da salvare il maggior numero possibile di vite umane. "Processi equi e trasparenti sono fondamentali".

Dovrebbe decidere il paziente

Se un paziente gravemente malato di Covid-19 deve essere collegato a un respiratore, il tasso di mortalità è del 40-60%. Ogni volta che è possibile, ai pazienti viene quindi chiesto se vogliono il trattamento. "Ma a volte i pazienti sono affaticati o disorientati, anche a causa delle difficoltà respiratorie, e non riescono più a prendere una decisione chiara", ha detto Heise. "Chiediamo quindi a tutti di riflettere in anticipo su queste domande".

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