Svizzera

Un argine allo shopping cinese

Anche il Consiglio nazionale ha approvato la mozione di Beat Rieder. Il Consiglio federale, contrario, dovrà ora elaborare una base legale.

Il ministro dell'economia Guy Parmelin
3 marzo 2020
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L’acquisizione, nel 2017, del gruppo agrochimico basilese Syngenta da parte del colosso cinese ChemChina – un affare da 43 miliardi di dollari – non è andata giù alla politica. Il timore che la Cina si accaparri altre aziende elvetiche rilevanti dal profilo economico o della sicurezza, o metta le mani su infrastrutture critiche (acqua, ospedali, ecc.), ha innescato il riflesso protezionistico del Parlamento. Dopo il Consiglio degli Stati, ieri anche il Nazionale ha stabilito che il governo dovrà preparare una base legale per controllare gli investimenti diretti esteri nelle imprese svizzere e istituire un’autorità che decida se autorizzarli o no.

Via libera per nulla scontato

La decisione non era scontata. La commissione preparatoria, nella passata legislatura, aveva respinto la proposta del ‘senatore’ Beat Rieder (Ppd/Vs). Ieri nel plenum la sinistra e il gruppo del centro hanno sostenuto la sua mozione in modo pressoché compatto. Decisivo è stato però l’appoggio di una manciata di deputati Udc, così come le astensioni e le assenze sempre in casa democentrista. Alla fine la mozione è stata approvata con 96 voti contro 82 e 15 astenuti.

Il Consiglio federale si adegua

Inutili le rassicurazioni di Guy Parmelin. Il ministro dell’economia ha ricordato che il Consiglio federale, in risposta a due postulati, ha pubblicato un rapporto sul tema. La conclusione: la base legale attuale basta. Si è consapevoli di «certi rischi potenziali». Per questo la situazione verrà monitorata e il rapporto attualizzato entro il 2023. Ulteriori controlli non sono «né necessari, né adeguati». Anzi, genererebbero costi elevati e renderebbero la Svizzera «meno attrattiva». Inoltre, ha rilevato Parmelin, nulla indica che l’aumento degli investimenti stranieri abbia portato a un trasferimento netto di posti di lavoro all’estero. Di «reazione epidermica», di «lex Syngenta» ha parlato a nome della maggioranza commissionale Christian Lüscher (Plr). «La Svizzera non è rimasta con le mani in mano», ha affermato il ginevrino, evocando una «grave minaccia alla libertà economica». Gli ha fatto eco Thomas Aeschi (Udc/Zg): così si lancia un cattivo segnale e si indebolisce la piazza economica.

Nessun divieto, ma un controllo

Non è un divieto ma un controllo, ha puntualizzato Leo Müller (Ppd/Lu) a nome della minoranza. La mozione è formulata in modo aperto: il governo potrà proporre una soluzione proporzionata. Müller ha ricordato come di recente a livello internazionale vi sono state acquisizioni di imprese strategiche e investimenti, talvolta diretti da Stati, in infrastrutture o imprese di rilevanza sistemica. Anche in Svizzera il problema è questo: arginare le acquisizioni di aziende orchestrate da Stati. 

Duplice richiesta

Creare una base giuridica per controllare gli investimenti diretti esteri nelle imprese svizzere. E istituire un’autorità che decida se rilasciare o no un’autorizzazione per affari del genere. È questa la duplice richiesta della mozione depositata nel 2018 dal ‘senatore’ Beat Rieder (Ppd/Vs) e intitolata “Proteggere l’economia svizzera con controlli sugli investimenti”. Nel giugno 2019 la mozione era stata accolta dal Consiglio degli Stati (22 voti a favore, 18 contrari e due astenuti). Ieri anche il Nazionale ha dato luce verde.

I casi

Secondo il Credit Suisse, un quinto delle acquisizioni a livello mondiale è riconducibile a investitori cinesi. Obbediscono a una strategia mirata e rientrano nel programma ‘Made in China 2025’ promosso dallo Stato cinese. Nel mirino di aziende statali cinesi o del fondo sovrano cinese ci sono soprattutto imprese che non hanno un azionista di riferimento e che in Svizzera sono frequenti. Tra gli esempi: Syngenta, Swissport, SR Technics, Gate Gourmet, l’Hotel Palace di Lucerna, Eterna (orologi), Gategroup, Saurer (macchine tessili).

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