Svizzera

La pubblicità sui social va sempre annunciata (o forse no)

Per Evelyne Battaglia (Acsi) deve essere chiaro che si tratta di un'inserzione. Pier Paolo Pedrini (ricercatore e docente): 'È inutile segnalare ogni volta'

Iouri Podladtchikov e Jolanda Neff ammoniti per aver fatto pubblicità occulta
17 luglio 2019
|

«Servirebbe una legge o perlomeno un codice di comportamento che riguarda le pubblicità da parte degli influencer». Ad affermarlo è la presidente dell’Associazione consumatrici e consumatori della Svizzera italiana (Acsi) Evelyne Battaglia-Richi, secondo cui il consumatore deve sapere che non si tratta di un post nato dal semplice interesse dell’influencer, bensì da una collaborazione con un’azienda: «Loro promuovono un prodotto o una prestazione perché sono pagati per farlo», dice a ‘laRegione’.

La settimana scorsa gli sportivi Jolanda Neff e Iouri Podladtchikov sono stati ammoniti dalla commissione svizzera per la lealtà, per non avere segnalato dei post pubblicitari su Instagram come tali. I reclami erano stati presentati dall’Associazione svizzerotedesca dei consumatori (Sks), che ha segnalato anche dei post di Roger Federer, Xenia Tchoumicheva (ancora in corso) e Michelle Hunziker (respinto). Si tratta di persone con un vasto seguito sui social media, dunque sono state segnalate dall’associazione anche per questo motivo, spiega Battaglia. «Per quanto riguarda la figura dell’influencer, in Svizzera non esistono codici di comportamento nell’ambito della pubblicità – continua la presidente dell’Acsi –. Questo perché si tratta di una figura relativamente nuova, che è nata con l’avvento dei social media».

La problematica di queste nuove piattaforme si presenta nella difficoltà del controllo, rispetto ai media tradizionali, nei quali gli annunci pubblicitari sono contrassegnati chiaramente, spiega Battaglia. Nel nostro Paese vige «la legge contro la concorrenza sleale, che stabilisce che la pubblicità deve essere contrassegnata. Il problema è che non precisa come». Per questo motivo si creano situazioni come quelle segnalate dalla Sks, poiché la legge non è adeguata ai social media, precisa la presidente dell’Acsi.

Ad esempio, non è chiaro se uno sponsor ricorrente vada segnalato sotto ogni post o se un hashtag (simbolo del cancelletto associato ad una parola chiave) sia sufficiente o meno. Secondo Battaglia, anche se è risaputo che uno sponsor è associato a un personaggio famoso, andrebbe indicato ogni volta che si tratta di pubblicità. E un hashtag non è abbastanza: «È ambiguo. Viene utilizzato per segnalare, ma non necessariamente chiarisce che si tratta di un annuncio».

La presidente dell’Acsi consiglia di prendere esempio dalla Svezia, la quale ha attuato un codice di comportamento, stabilendo che bisogna segnalare che si tratta di pubblicità all’inizio e alla fine di essa. Se ciò «non viene rispettato, si passa alla segnalazione alle autorità» afferma Battaglia. Invece, in Svizzera, ciò non porta a risultati: vengono emessi solamente degli ammonimenti. Secondo la presidente, anche questo aspetto deve cambiare: «Vengono inflitte sanzioni per comportamenti altrettanto gravi in Svizzera. Se uno non segnala che si tratta di pubblicità ripetutamente, dovrebbe perlomeno poter essere multato».

Ma per quale motivo è così importante etichettare le inserzioni? «Lo scopo della pubblicità è di generare un consumo. Se viene segnalata come tale, quindi se c’è trasparenza verso il consumatore, non è problematico». E ribadisce: «Se il contenuto pubblicitario non è distinguibile chiaramente, il consumatore si ritrova con un miscuglio di contenuti e non riesce più a capire quando si trova di fronte a una pubblicità e quando no. Ciò può portare a un consumo in modo inconsapevole, e può dunque diventare un problema».

L'INTERVISTA
‘Gli influencer non devono sempre avvertire che agiscono per scopi pubblicitari’

“Ritengo che sia inutile segnalare ogni post”, per fare capire all’utente che si tratta di pubblicità. È quanto sostiene – al contrario dell’Associazione consumatori e consumatrici della Svizzera italiana (cfr. articolo a lato) – Pier Paolo Pedrini, consulente, ricercatore e docente (anche all’Università della Svizzera italiana) di comunicazione e di tecniche di persuasione.

Dopo che il tema della pubblicità occulta sui social media è diventato di attualità nelle scorse settimane, ci si può chiedere quali siano concretamente le conseguenze di questo fenomeno sui consumatori: “In generale è difficile valutare gli effetti della pubblicità, occulta o meno, perché sulla nostra presa di decisione agiscono numerose influenze di cui siamo inconsapevoli e che pertanto non controlliamo”, afferma Pedrini a ‘laRegione’. “Il pensiero cosciente è importante ma non è assoluto e onnipotente come forse molti credono”.

“D’altra parte – prosegue l’esperto – è provato che le persone che sostengono di non essere condizionate dalla pubblicità o dai tentativi di persuasione sono proprio le più sensibili al controllo da parte di qualcun altro”. Inoltre, “è soprattutto a posteriori, cioè dopo che abbiamo commesso un’azione, che la mente cosciente interviene a dare un senso a quanto abbiamo fatto, a trovare una spiegazione che ci metta in buona luce, in armonia con le nostre vere (si fa per dire) intenzioni”.

Secondo Pedrini, “le neuroscienze riconoscono che la pubblicità occulta può condizionare scelte e comportamento di una persona solo se questa ha già un certo obiettivo in mente, cioè se è già predisposta verso un comportamento o un prodotto”.
Concretamente, gli influencer – come sportivi, attori, presentatori o personaggi famosi presenti sui social media – hanno un forte potere di persuasione su chi li segue “grazie al principio dell’imitazione”, sottolinea il ricercatore. Si tratta di “un segnale di affinità, di provare gli stessi sentimenti, di avere le stesse opinioni e valori: è un principio che genera fiducia”.

Tuttavia, gli influencer non sono gli unici che risvegliano in noi questo meccanismo di persuasione attraverso il principio dell’imitazione, influenzando così il “nostro pensiero e comportamento”: secondo Pedrini, ad esempio, anche gli “amici” possono condizionare le nostre decisioni in merito al fatto se acquistare un prodotto oppure no. Va però detto che, al contrario dei personaggi famosi, gli amici non sono pagati per fare pubblicità e quindi la loro influenza sul nostro comportamento non può essere definita ‘ingannevole’, ‘sleale’ o ‘inopportuna’.

Resta il fatto che secondo il ricercatore “gli aspetti più complessi del comportamento umano (compreso il linguaggio che usiamo) sono prodotti da reazioni riflesse e ripetute agli stimoli provenienti dall’ambiente circostante proprio perché per natura siamo degli imitatori. E ciò avviene in ogni settore della vita. Non ci dobbiamo allora scandalizzare se prima di prendere una decisione ci nasce l’impulso di guardare cosa fanno e come si comportano gli altri, soprattutto se simili a noi”.

Il docente di comunicazione e di tecniche di persuasione non ritiene dunque necessario “che gli influencer debbano sempre avvertire che agiscono per scopi pubblicitari, perché allora anche in tutti i film che vediamo gli attori dovrebbero allertare lo spettatore prima di bere una bibita, di accendere una sigaretta, di salire su un’auto, di vestirsi, e così via”.

Inoltre, “sia il settore dell’intrattenimento sia quello dell’informazione e dei media esercitano un grande potere nel forgiare le credenze e gli atteggiamenti culturali e attitudinali delle persone”, conclude Pedrini.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE