Svizzera

Niente stretta di mano, niente passaporto

Eguaglianza non rispettata: respinta a Losanna la domanda di naturalizzazione di una coppia che si rifiuta di stringere la mano a persone di sesso opposto.

17 agosto 2018
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Il municipio di Losanna non ha autorizzato la naturalizzazione di una coppia che si rifiuta di stringere la mano agli interlocutori di sesso opposto. Le autorità hanno reso noto oggi che un tale comportamento non rispetta l'eguaglianza uomo-donna.

La maggioranza della municipalità ha deciso di respingere entrambe le richieste, sottolineando che la stretta di mano "non è che uno degli elementi che hanno portato alla scelta". Durante le audizioni, i due individui hanno manifestato "un comportamento generale discriminante". Hanno ad esempio rifiutato di rispondere a domande poste da persone di genere differente.

Secondo le leggi sia cantonali che federali – viene ricordato in una nota – i candidati alla naturalizzazione devono essere ben integrati nella comunità elvetica e nello specifico vodese, e manifestare nei loro comportamenti l'attaccamento alla Svizzera e alle istituzioni, così come il rispetto dell'ordine giuridico elvetico.

Le strette di mano fanno discutere

La questione della stretta di mano fa sovente discutere, e non solo in Svizzera. È di ieri la notizia che una giovane svedese di religione musulmana si è vista riconoscere il diritto ad un risarcimento da parte di un'azienda, dopo che il suo colloquio per un impiego era stato interrotto quando aveva rifiutato di stringere la mano ad un uomo.

Un giudice del lavoro ha giudicato la decisione dell'azienda come discriminatoria e l'ha condannata a pagare alla donna un risarcimento di 40mila corone (circa 4'300 franchi).

Nella Confederazione invece aveva fatto discutere il caso di una scuola di Therwil (Bl), dove un allievo musulmano aveva rifiutato di dare la mano a una insegnante, come consuetudine nel cantone. Il governo di Basilea Campagna aveva infine deciso che i docenti possono esigere dagli allievi la stretta di mano. Anche se vi è in gioco la libertà di religione, secondo le autorità cantonali l'interesse pubblico in questo caso prevale.

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