Svizzera

Sempre nel mirino la direttiva Ue sulle armi

Luca Filippini (Swissshooting) dopo il ‘sì’ del Nazionale: restano degli aspetti da correggere. In gioco vi è un ‘cambiamento di paradigma’.

((Ti-Press))
1 giugno 2018
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Luca Filippini, il Consiglio nazionale mercoledì ha reso ancor meno stringente la già ‘pragmatica’ attuazione della direttiva Ue sulle armi elaborata dal Consiglio federale. Lo scenario referendum quindi si allontana?

Meno stringente, sì: è vero. Ma che sia davvero pragmatica la soluzione trovata dal Consiglio federale, possiamo discuterne. La decisione del Consiglio nazionale è sicuramente un passo nella buona direzione. Ma ci sono ancora dei punti da mettere a posto.

Quali?

Il principio che tutti i fucili semiautomatici – fatte salve un paio di eccezioni – diventeranno proibiti. E le modalità concrete della registrazione a posteriori delle armi semiautomatiche già in possesso. Se una di queste è già nelle mani di un cittadino, magari da decenni, non vedo perché debba essere annunciata in virtù di una nuova legge che avrebbe effetto retroattivo.

Concretamente, cosa dovrà fare il Consiglio degli Stati, in settembre, affinché voi rinfoderiate la minaccia di referendum?

Più che una minaccia, è un voler lasciare aperta qualsiasi opzione per difendere gli interessi dei tiratori e di tutti gli altri detentori legali di armi. Il Consiglio degli Stati dovrà trovare una soluzione alle due questioni appena citate.

Il Nazionale non vuole che tra le armi vietate rientrino le armi d’ordinanza che i cittadini, una volta prosciolti dall’obbligo di prestare servizio militare, scelgono di conservare al proprio domicilio. Qui siamo già oltre la linea rossa dell’Ue (divieto delle armi semiautomatiche, comprese le armi d’ordinanza in possesso di privati).

È probabile. Noi riteniamo però che queste nuove regole non portino niente a livello di sicurezza. Le introduciamo soltanto perché qualcuno a Bruxelles ha deciso che bisogna farlo. Il Nazionale ha stabilito semplicemente che le armi d’ordinanza non sono da considerare proibite se il cittadino ne entra in possesso una volta finito l’obbligo di prestare servizio militare. Se però in seguito deciderà di venderle, queste armi rientreranno tra le armi proibite.

Come detto, non considerare l’arma d’ordinanza al termine dell’obbligo di servire tra le armi proibite, va probabilmente oltre la linea rossa tracciata dall’Ue. Così si mette in pericolo l’adesione della Svizzera agli accordi di Schengen e Dublino. Noi l’abbiamo sempre detto: non siamo di principio contro Schengen e Dublino.

Vogliamo trovare una soluzione che rispetti le particolarità e le esigenze svizzere. Ripeto: andiamo nella giusta direzione, ma restano alcuni punti da chiarire. La bozza dell’ordinanza [che tradurrà nel dettaglio le disposizioni di legge ora all’esame del Parlamento, ndr] non l’abbiamo ancora ricevuta. Ed è lì che si vedrà esattamente dove andremo a parare. Comunque, checché se ne dica, c’è un cambio di paradigma: finora ‘basta’ un permesso d’acquisto per detenere questi fucili, che sono il simbolo del cittadino-soldato nel nostro sistema di milizia; mentre un domani queste armi saranno proibite e le si potrà detenere unicamente ottenendo un’autorizzazione eccezionale [dagli uffici cantonali preposti, ndr].

Mercoledì durante il dibattito al Consiglio nazionale anche Werner Salzmann (tiratore di lungo corso e specialista dell’Udc in materia) ha parlato di ‘cambiamento di paradigma’. Per la consigliera federale Simonetta Sommaruga, invece, si tratterebbe di ‘cambiamenti puntuali’. A chi dobbiamo credere?

È vero: i cambiamenti sono puntuali. Ma, sommati, generano un cambiamento di paradigma. Oggi in Svizzera una persona senza precedenti penali fa una richiesta per un’arma semiautomatica e riceve un permesso d’acquisto. Formalmente, un domani questa stessa persona, per poter detenere la stessa arma, dovrà richiedere un’autorizzazione eccezionale. In altre parole: oggi abbiamo un’arma legale soggetta a un permesso, domani questa stessa arma sarà proibita e potrà essere detenuta soltanto a certe condizioni. Uno può anche dire: in pratica cambia solo il tipo di permesso. D’accordo, ma formalmente passiamo da un’arma legale a un’arma proibita.

Armi semiautomatiche: di cosa parliamo esattamente, e perché sono così importanti per voi tiratori?

In Svizzera ci sono centinaia di migliaia di fucili semiautomatici in circolazione. La maggior parte dei membri di Swissshooting è attiva nello sport di massa. Buona parte di chi lo pratica utilizza fucili ex militari, il fucile d’assalto (Fass) 57 o 90. Ci sono poi tanti altri fucili semiautomatici, che vengono usati in altre discipline sportive (tiratori dinamici ecc.). Se ho un magazzino da 10 colpi, potrò continuare a ricevere un permesso d’acquisto e detenere senza alcun problema uno di questi fucili. Se invece ho un magazzino anche solo da 11 colpi, il fucile già diventa un’arma proibita. Per noi questo è un problema [anche perché il magazzino standard per la versione civile del Fass 90, assai diffuso fra i tiratori svizzeri, contiene 20 cartucce, ndr].

Lei dice che per voi tiratori sportivi la direttiva Ue è ‘un problema’. La consigliera federale Simonetta Sommaruga ha affermato invece che per voi non cambierà nulla. Come la mettiamo?

Il Nazionale ha stabilito che gli uffici cantonali preposti devono (e non semplicemente “possono”) rilasciare ai tiratori un’autorizzazione eccezionale per il possesso di un’arma semiautomatica, sempre che le condizioni poste (pratica regolare del tiro, affiliazione a una società di tiro) siano soddisfatte. Questo è positivo, così come positivo è che sia stato ribadito che non vi sarà alcun obbligo di appartenere a una società di tiro. Resta il fatto che come tiratore dovrò provare [dopo 5 anni e di nuovo dopo 10, ndr] un utilizzo regolare dell’arma [probabilmente cinque volte in cinque anni, ndr].

Simonetta Sommaruga ha anche detto che cambierà poco per i detentori attuali di armi semiautomatiche.

Il problema riguarda soprattutto i Fass 57 e i Fass 90 acquistati prima del dicembre 2008 [da quando vige l’obbligo di annuncio, ndr], non iscritte nei registri. Io, come detentore legale di una di queste armi, andrò avanti tranquillamente e dopo cinque anni dovrò dimostrare di usarla regolarmente? O avendola acquisita con la vecchia legge, sarò esonerato da questa prova? Non l’ho ancora capito.

Una cosa è certa: chi già possiede un fucile semiautomatico acquistato prima del 2008 dovrà farsi confermare entro tre anni il legittimo possesso.

I ‘senatori’ dovrebbero correggere questo aspetto. Il popolo nel 2011 ha respinto l’idea di una registrazione a posteriori [nell’iniziativa popolare ‘Per la protezione dalla violenza perpetrata con le armi’, ndr]. Poi anche il Parlamento ha bocciato una proposta in tal senso. Chi possiede legalmente un’arma simile, deve poterla detenere senza doverla annunciare. È questione di tempo: le armi dopo un po’ passano di mano (vendita ecc.), a quel punto verranno registrate. Un obbligo d’annuncio sarebbe presto superfluo.

Le armi semiautomatiche, d’ordinanza e no, sono state usate anche di recente in un certo numero di suicidi, drammi familiari e atti violenti in Svizzera. Anche per questo è sensato cercare di limitarne il più possibile la diffusione. Non è d’accordo?

Non esiste una correlazione tra atti violenti e numero di armi in circolazione.

Molti psichiatri, per quel che riguarda i suicidi, la pensano diversamente.

Non esiste una correlazione statistica. Se parliamo di casi singoli, allora dovrei proibire i camion perché qualcuno ne ha usato uno per compiere un attentato?

 

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