Svizzera

Requisitoria davanti ai media, il Ccis attacca la Procura

Accuse 'senza fondamento': a due giorni dal processo, il Consiglio centrale islamico prova a delegittimare la Procura federale. I vertici annunciano: in aula in silenzio.

15 maggio 2018
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Un logo creato per l’occasione: vi compaiono i profili dei tre barbuti imputati e, sopra le loro teste, una pellicola con la scritta ‘Der Prozess’; la pubblicazione integrale dell’atto d’accusa stilato dal Ministero pubblico della Confederazione (Mpc); un comunicato stampa nel quale si denuncia un “tentativo di stigmatizzazione politico”; diversi video, e una clip dal titolo ‘Operation Justitia’, «campagna militare contro le sciocchezze islamofobe della procura federale».

Abituato a giocare coi mass media, abile nell’attirare l’attenzione, nel vestire i panni della vittima, il Consiglio centrale islamico della Svizzera (Ccis) non ha lesinato sforzi in queste settimane di avvicinamento al processo contro tre suoi dirigenti che si terrà domani e giovedì al Tribunale penale federale di Bellinzona. A due giorni dall’inizio dei dibattimenti, ieri i leader della controversa associazione che difende una visione arcaica dell’islam sono tornati a negare recisamente ogni intento di propaganda a favore del terrorismo.

Il processo? «Politico». Le accuse? «Senza fondamento». In una conferenza stampa tenuta a Berna, alla quale hanno partecipato i tre imputati, il piccolo ma molto attivo gruppo islamista – che malgrado i proclami non rappresenta che l’1% delle circa 400mila persone di fede musulmana residenti in Svizzera – ha ribadito la tesi che Abdallah al-Muhaysini, la cui videointervista in Siria sarà al centro del processo, non è mai stato membro di al-Qaida o della sua succursale siriana an-Nusra ma un «costruttore di ponti» tra i vari gruppi ribelli siriani e un attivo oppositore del sedicente Stato Islamico (Isis).

Il Ccis ha pure anticipato che al processo gli imputati non intendono «cooperare con il Ministero pubblico della Confederazione»: manterranno il silenzio e non risponderanno alle domande. Il Ccis si aspetta una piena assoluzione. L’Mpc ha rinviato a giudizio il presidente del Ccis Nicolas Blancho, il responsabile della comunicazione Qaasim Illi – entrambi 34enni svizzeri convertiti all’Islam – e il 26enne “produttore culturale” dell’organizzazione Naim Cherni, un tedesco che vive a Berna. L’accusa: aver violato la legge federale che vieta i gruppi terroristici al-Qaida e Stato Islamico e le organizzazioni associate. Cherni è accusato di aver girato nell’ottobre 2015 video in Siria ritenuti opera di propaganda a favore di al-Qaida o di un gruppo ad essa associato. Video che sono stati poi approvati da Illi e pubblicizzati in accordo con Blancho tramite social media e anche in occasione di una manifestazione pubblica a Winterthur nel dicembre 2015.

Nei video è contenuta in particolare una intervista ad Abdallah al-Muhaysini, un saudita che l’Mpc ritiene fosse un alto rappresentante di alQaida in Siria. Secondo la versione del Ccis – illustrata sul suo sito web – Naim Cherni si era recato nel 2015 “per l’ennesima volta” in una zona ribelle siriana. Suo obiettivo sarebbe stato di “trattare in modo critico” gli argomenti avanzati dallo Stato Islamico in costante rafforzamento contro gli altri ribelli che, secondo l’Isis, sarebbero stati soltanto dei “semplici laici senza alcun interesse a stabilire un regime postrivoluzionario sulla base della legge islamica, la sharia”.

In questo contesto Cherni sostiene di aver intervistato alMuhaysini, che “dal 2014 si era fatto un nome con il suo tentativo di mediazione tra i ribelli e lo Stato Islamico”. Dopo che l’Isis “aveva rifiutato di abbandonare il suo slogan di supremazia, l’indipendente Al-Muhaysini aveva dichiarato giustificata la lotta unita contro il gruppo estremistico”, sostiene il Ccis.

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