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Noè Ponti: ‘Sentivo di ‘averla’, la finale. Ho dato tutto’

Il ticinese torna sulla finale dei 200 delfino mancata per sei centesimi. Massimo Meloni (l'allenatore): ‘Se avesse nuotato nella prima semifinale...’

27 luglio 2021
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Prevale l'orgoglio, per un risultato che resta sensazionale, una semifinale alla prima Olimpiade. Prevale il valore della prestazione, il peso specifico di un risultato che resta straordinario, anche se il cronometro (1’55’’37) è un tantino ingeneroso, e ha riportato indietro Noè Ponti di 32 centesimi rispetto all’1’55’05 nuotato in batteria con tanto di strepitoso record svizzero. Tuttavia, al netto della soddisfazione che deve avere il sopravvento su qualsivoglia altro sentimento, una punta di rammarico trapela dalla reazione di Noè Ponti al mancato accesso alla finale dei 200 delfino che gli è sfuggita per miseri 6 centesimi di secondo (1’55’’31 il crono del giapponese Tomoru Honda ottavo). Tanto per infilare il dito nella piaga, con l’1’55’’05 il ticinese sarebbe entrato in finale dalla porta principale, con il terzo rilevamento cronometrico. Un ragionamento da “se” e ma” che, però, nello sport lascia il tempo che trova. Il tempo di un’analisi lucida e autocritica, ma già proiettata alla prossima scadenza, i 100 delfino le cui batterie sono in calendario giovedì. «Sono contento di aver disputato la mia prima semifinale olimpica - ha rivelato Noè -. Peccato aver mancato di un soffio la finale, sentivo di “averla”. Ritengo di valere più di quanto ho fatto vedere in acqua di valere molto di più rispetto a quanto nuotato. La finale era vicina, ma il nostro sport è così, non ci posso fare niente.  Se penso che un atleta del calibro del giapponese Daiya Seto, forte di un personale di 1’52’’, argento ai Mondiali di due anni, è rimasto escluso… Aver nuotato accanto a Milak (dominatore della disciplina nonché detentore del record del mondo, ndr) ha fatto sì che non avessi una scia pulita, ho avuto un po’ di onde a partire dalla seconda vasca, ma di certo non accampo scuse. Ho fatto la mia gara, con passaggi simili alla prova nuotata lunedì in batteria. Ho dato tutto, è andata così. È il mio primo tempo si sempre al mattino. Non è bastato, ma ho la giovane età dalla mia, avrò altre occasioni per rifarmi».

100 delfino, obiettivo semifinale 

Se fino a qualche mese fa la disciplina prediletta di Noè erano i 100 delfino (eliminatorie domani), alla vigilia di questi Giochi aveva svelato sensazioni particolarmente positive nei 200, sui quali ha svolto un lavoro mirato con il suo allenatore Massimo Meloni. «Confermo che alla vigilia di queste gare, se avessi dovuto puntare qualcosa, lo avrei fatto sui 200. Mi sentivo molto bene, in allenamento, su questa distanza. Ora però arrivano i 100, per i quali mi sento ugualmente pronto. Il “51” sento di averlo (51’’15 il suo limite svizzero in vasca lunga, ndr), forse anche qualcosa in meno. Come per i 200, la semifinale è alla portata».

L’analisi

Massimo Meloni: ‘Fossi stato lì con lui... ’

Quanto avrebbe voluto assistere il suo protetto da vicino, a bordo vasca. Invece, Massimo Meloni, allenatore di Noè ormai da un paio di anni, se n’è dovuto restare a casa, a fremere, a seguire le gare da lontano con un occhio critico e di riguardo per le prestazioni del suo atleta, al quale ha comunque assicurato supporto tecnico e sostegno morale «giorno e notte», conferma il tecnico italiano del “training base” nazionale di stanza al centro sportivo di Tenero. «Ormai è andata - spiega Meloni -, ma se Noè fosse capitato nella prima delle due semifinali, sarebbe andato in finale, perché quella è stata una gara diversa. Tre decimi sono niente, ci stanno. Scoccia un po’ che ne sono mancati solo sei per un posto nei primi otto. Doveva avere un approccio diverso, rispetto alla gara che poi ha fatto. Abbiamo lavorato molto sui passi, ma poi entrano in gioco anche fortuna e sfortuna. Nella sua “semi” ha nuotato con colleghi che per un po’ se lo sono lasciato alle spalle, non solo l’inarrivabile Milak, salvo poi finire più o meno tutti allo stesso livello. Nella batteria precedente avrebbe trovato condizioni di gara diverse e sarebbe andato in finale. Ora, non dobbiamo dimenticare che è un ragazzo giovane, alla sua prima semifinale, alla prima Olimpiade, ambito in cui non esiste una gara facile. È pur vero che ci sono atleti anche più giovani di lui che salgono sul podio, ma sono situazioni molto diverse. Noè ha fatto un grosso salto in avanti. Il più grande rammarico non è tanto per il tempo che ha nuotato. Il più grande rammarico, anche se spero di sbagliarmi, è che il tempo che ha nuotato nelle batterie (1’55’05, ndr), in finale potrebbe valere una medaglia. Noè poteva nuotare in 1’54, ma è giusto anche rimanere con i piedi per terra. È stato molto bravo, non è affatto semplice gestire una gara così, in un contesto così speciale».

Ha forse pagato il mancato contatto diretto tra atleta e mentore? «Mi rammarica un po’ non essere stato lì, con lui. Se fossi stato lì, la situazione avrebbe potuto essere diversa. Cambiano tante cose, in presenza: la sensazione dell'atleta, il rapporto umano, totalmente diverso. Non dico che se fossi stato con lui avrebbe vinto una medaglia, tuttavia qualcosa sarebbe cambiato. Da parte mia, non sono con la Nazionale a Tokyo, benché io sia l’unico tecnico federale, e non un allenatore di club. Ci tengo però a precisare che, sebbene deluso, ho accettato la scelta della federazione svizzera di puntare su altri due colleghi, per la spedizione olimpica. Motivata dal fatto che uno ai giochi ha portato tre atleti, l’altro due. Io ne alleno uno solo, per cui non ho nulla da rimproverare alla federazione. Resta il fatto che non essere là fa la differenza. Noè è al primo evento di questa portata. Per chi già ha fatto un’Olimpiade, il discorso è diverso, ma per Ponti sono i primi Giochi. Comunque, c’è poco da recriminare: è decimo al mondo, a sei centesimi dalla finale, ve bene così. Certo è che se dovessimo vedere che con 1’55’’05 giovedì qualcuno magari si mette al collo la medaglia, un minimo di rabbia...».

A livello individuale, ora Noè si concentra sui 100 delfino, a lungo la sua disciplina prediletta. «I 100 sono la gara più difficile. Abbiamo lavorato molto bene sui 200, ma senza snobbare i 100. La mia filosofia di lavoro prevede che per allenare bene i 100 sia necessario allenare forte i 200, un concetto contrario al modo di procedere in Svizzera: si allena il 100 partendo dal 50, e questo cozza contro le mie idee. Noè è pronto, ma è una gara un po’ più complicata. E non sottovaluterei il fatto che a queste Olimpiadi l’ordine delle gare è sconvolto (per esigenze televisive, ndr): le batterie in serata, la semifinali al mattino… Piccoli scombussolamenti rispetto a quanto il ragazzo è abituato a fare che potrebbero anche avergli causato qualche piccolo problema».

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