HOCKEY

Lorenzo e la Svizzera che sogna. ‘Conosciamo la nostra forza’

Nel pomeriggio ai Mondiali giovanili in Canada ultimo esame prima dei quarti per i ragazzi di Marco Bayer. Canonica: ‘La pressione? Ci sono abituato’

Un ticinese in prima linea: ‘È un grande onore, ed è per questo che sono qui’
(Keystone)
31 dicembre 2022
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La notte prima degli esami. Per una Svizzera che quest’oggi, sul mezzogiorno (quando da noi saranno però già le 17), con in tasca il biglietto per i quarti torna sul ghiaccio dell’Avenir Centre di Moncton: in palio c’è ben più di una semplice fetta di gloria, contro una Slovacchia che pare fatta apposta per misurare le proprie ambizioni. «È una partita da vincere, per noi» dice senza esitazioni Lorenzo Canonica, diciannovenne di belle speranze dei Cataractes di Shawinigan, squadra iscritta alla Québec major junior hockey league, e della nazionale Under20 di Marco Bayer. «È vero, c’è sollievo ora che sappiamo di essere ai quarti, ma pensando alla fase a eliminazione diretta dobbiamo chiudere nella miglior posizione possibile. Sappiamo bene che le squadre dell’altro gruppo (quello di Halifax, ndr) sono tutte forti, ma contro il Canada o contro la Repubblica Ceca sono comunque due partite differenti... Ecco perché questa partita è davvero importante».

Eppure, in queste ore si parla molto anche di voi, di questa Svizzera capace prima di battere la Finlandia e poi di tener testa agli Stati Uniti, anche se poi le cose sono precipitate in un secondo tempo oltremodo complicato.

«Credo che dobbiamo imparare a essere più disciplinati sui sessanta minuti – spiega il diciannovenne centro formatosi a Lugano –. Infatti nel secondo tempo abbiamo preso quelle due penalità e loro ci hanno subito puniti. Dobbiamo essere più costanti, non dobbiamo mollare neppure per un secondo, perché che bene o male le occasioni le abbiamo avute. Bisogna solo insistere e avere fiducia nel sistema, poi i risultati arriveranno».

Del resto, sono già arrivati: e dire che a sentire le parole utilizzate da Marco Bayer prima del via questo sarebbe dovuto essere un torneo disgraziato, invece i risultati fin qui sono incoraggianti.

«All’inizio, pure a noi il coach parlava in quel modo. Noi, però, sapevamo della forza di questa squadra: praticamente ci conosciamo da quando avevamo sedici anni, il nostro è un gruppo affiatato, composto da molti giocatori che vivono in Nordamerica e sono abituati all’hockey di questo livello, mentre degli altri ragazzi che ancora si trovano in Svizzera, molti di loro hanno già giocato in Lega nazionale A. Certo, forse non immaginavamo di cominciare battendo subito la Finlandia, ma dopo aver vinto contro Svezia e Repubblica Ceca in amichevole, sapevamo di essere sulla strada giusta».

Il fatto che, appunto, molti di voi si siano trasferiti in Canada o negli States può aver avuto degli influssi sul vostro modo d’intendere l’hockey?

«Di sicuro aiuta avere in squadra molti ragazzi che giocano qui. Da una parte perché ci siamo abituati alle piste piccole, ma anche perché abbiamo adattato il nostro modo di essere. Penso non soltanto al gioco nella zona offensiva, ma pure in quella difensiva: qua non ti chiedono di tornare sempre indietro. Al contrario, in Canada spesso ti dicono ’play North, play North!’, cioè che i dischi devono andare all’insù».

Anche l’altra sera sei stato uno dei giocatori che ha avuto più spazio sul ghiaccio, in linea con Attilio Biasca e Louis Robin (pur se dal secondo tempo il posto di quest’ultimo è stato preso da Jonas Taibel): che effetto fa, a diciannove anni essere il perno della prima linea in nazionale ai Mondiali Under20?

«Ne sono molto, molto orgoglioso. Già tre anni fa, quando ho potuto giocare il mio primo Mondiale di categoria avevo un ruolo importante, ma allora non ero ancora maturo, non ero il giocatore che sono adesso. E se sono qui a Moncton, è proprio per questo: volevo questo ruolo, e cercherò di sfruttare quest’occasione al meglio, facendo ciò che posso. Ed è vero che ho soli 19 anni, ma qui in Canada ho già potuto vivere grandi momenti come la finale di campionato con i Cataractes, l’anno scorso, oppure la Memorial Cup (il torneo che, in sostanza, ogni anno determina il campione canadese a livello giovanile), quindi sono abituato a far fronte a questo tipo di pressione».

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