HOCKEY

La riforma non s'ha da fare. 'Questo è un gioco di potere'

I giocatori fanno sentire la propria voce sul progetto 2022. Elias Bianchi: 'Se il problema è economico, perché non pensare prima al tetto salariale?

Futuro, spina dorsale e vita (Keystone)
21 febbraio 2021
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«Ambrì, sabato sera, ore 19.45 precise. Marco Müller e André Heim incrociano i bastoni a centropista per quello che in teoria sarebbe l'ingaggio d'inizio tra Ambrì e Berna. Invece è solo una messinscena: infatti, non appena il disco tocca il ghiaccio, le due squadre se ne tornano in panchina, da dove spunta un lungo striscione che inizia nel settore biancoblù e finisce in quello degli Orsi. Su cui, in tedesco, sta scritto così: "Le giovani leve sono il nostro futuro, i tifosi la nostra spina dorsale e l'hockey le nostre vite!". E  non ci vuol molto a capire che i giocatori ce l'hanno con la paventata riforma del campionato, dal 2022 in poi. «Dopo quello che è successo, da parte dei giocatori c'era la volontà di far sentire le nostre idee, soprattutto per come le cose sono evolute nel tempo, e credo che alla fine ci siamo trovati facilmente tutti d'accordo» dice Elias Bianchi, capitano dell'Ambrì costretto a mettere una croce sul resto della stagione dopo l'intervento chirurgico al ginocchio per l'infortunio occorsogli nel mese d'ottobre. «Trovo che in una stagione come questa ci fosse veramente la possibilità di fare un bel cambiamento, o più che altro mettere delle regole che avrebbero aiutato il nostro hockey in generale. Onestamente, invece, credo che non si sia fatto molto che andasse in quella direzione. E pensando allo sforzo economico fatto dai giocatori praticamente in tutte le società, la situazione si sarebbe potuta gestire con maggior collaborazione» aggiunge il trentunene momò, che è nel comitato dell'associazione che rappresenta gli interessi dei giocatori in Svizzera, la Swiss ice hockey player's union. 

Questa riforma, però, è musica del futuro. «Che sia futura o no, è nata durante la stagione del Covid. È l'anno della pandemia che ha spinto, che ha tra virgolette forzato questa decisione – spiega Bianchi –. Sento spesso dire che il nostro è un hockey malato a livello finanziario, però se vediamo come agiscono certe società... E quando poi ti accorgi che per ora è stato trovato soltanto un accordo sul numero di giocatori stranieri, e non invece sul tetto ai salari (il cosiddetto financial fairplay, ndr), ti chiedi se davvero il problema sia unicamente economico, oppure se prevalga la voglia di vincere a tutti i costi. Al di là di quella che è la protezione del nostro hockey, perché è palese che una decisione del genere andrà a rovinare quanto è stato fatto in questi anni, il punto è che di mezzo c'è anche la correttezza nei confronti di noi giocatori: ci dicono che prendiamo troppi soldi, ma a noi i soldi chi ce li dà? Qualcuno ci pagherà pure... E se davvero il problema fosse solo quello, perché prima non è stata trovata un'intesa riguardo al salary cap, per andare poi in un secondo tempo a toccare la regolamentazione dei giocatori stranieri?».

Infatti per ora l'accordo c'è soltanto su quello, il cui passaggio da quattro a sette verrà controbilanciato dalla sparizione delle cosiddette 'licenze svizzere'. «Sì, è vero, i club continuano a parlare di un pacchetto di misure. Ma se guardiamo a quel pacchetto ci rendiamo conto che al suo interno c'è la definizione del ruolo degli agenti (che non so cosa c'entra, si poteva gestire tranquillamente la questione a parte), più l'abolizione della relegazione, che è un aspetto più delicato, perché sicuramente permette alle società di pianificare meglio togliendo però un po' di attrattività, di suspense al campionato, ma comunque se ne può discutere, e infine ci sono le questioni del salary cap e degli stranieri che sembrano quasi essere collegate. Se si osserva bene come sono andate le cose, si vede che c'è un gioco di potere, e che certi aspetti sono stati forzati».

In che senso? «Ci sono società che hanno probabilmente perso un po' di predominio sul campionato e così hanno forzato la questione degli stranieri con l'obiettivo di riportarsi a un certo livello, e questo è il risultato. Ciò che è triste, è che se hai a cuore la salute del nostro hockey piuttosto decidi di mettere un tetto ai salari, che oltretutto riequilibrerebbe il campionato. Cosa che, tra l'altro, era un altro degli aspetti sollevati per giustificare la riforma, dicendo che alla fine vincono sempre le solite squadre. A parte il fatto che, mi sembra che erano anni che non si vedeva un campionato equilibrato come quest'anno...».

È il tetto ai salari la soluzione? «Sì, se vuoi rendere il tutto davvero equilibrato. Un salary cap che divida i migliori giocatori svizzeri su più squadre: automaticamente si arriverebbe a una maggior equità, senza dover andare a toccare la questione degli stranieri. Anche se, per carità, se vogliono metter mano a quello, che lo facciano. Così, però, il tutto mi sembra contraddittorio».

Ma non siete mai stati coinvolti in qualità di associazione dei giocatori? «C'è un dialogo con la Lega su queste cose, così come su altre. Loro, però, all'inizio ci hanno accusati di non aver trovato un accordo sulla riduzione dei salari: otticamente però era pure difficile trovare una soluzione omogenea se guardiamo ai diversi budget delle varie società. Alla fine, però, una soluzione è stata pur raggiunta, visto che i giocatori di ciascuna squadra hanno rinunciato a qualcosa». 

È comunque innegabile che ci siano disequilibri: «Che ci sia un problema di soldi, che non tutte le società abbiano le stesse possibilità a livello di sostenibilità ci può stare. Quello è un ragionamento. Però, appunto, allora si metta un tetto agli stipendi per riequilibrare il tutto. Un giocatore forte non può trovare spazio in quella squadra? Bene, se andrà in un'altra. E così di darebbe non solo equilibrio e attrattività al campionato, ma pure più valore alla Lega e ai giovani. Per me la soluzione è quella, non è che ce ne siano molte altre».

Si dice che l'accordo finale a questo famoso pacchetto non verrà trovato prima di un paio di mesi: secondo te, c'è ancora tempo per intavolare delle discussioni con voi giocatori? «Non lo so, mi pare che abbiano tirato abbastanza dritti per la loro strada. Al di là del messaggio che abbiamo cercato di far passare noi giocatori, pure giornali e tivù hanno espresso le loro perplessità, e lo stesso vale per i tifosi e i fan club. Tuttavia credo che alla fine la Lega farà ciò che ritiene giusto, e non credo si faranno troppo influenzare da ciò che abbiamo fatto noi stasera (dice, alludendo allo striscione, ndr). Se non ci sarà accordo, piuttosto, credo che sarà perché su questo famoso pacchetto non riusciranno a mettersi tutti d'accordo». Ciò che di sicuro non è impossibile.

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