Hockey

Lugano, la flessibilità fa rima con pazienza

A una settimana dal via i bianconeri si tolgono il velo, con un mercato di peso nonostante il budget Covid. 'Ma è troppo presto per capire dove siamo'

Volti nuovi sotto la mascherina (Ti-Press/Crinari)
23 settembre 2020
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C'è più Covid che hockey, nelle frasi che animano la presentazione ufficiale del Lugano. E non potrebbe essere altrimenti, visti i presupposti. In una serata in cui spicca l'assenza di Vicky Mantegazza, che si trova all'estero. «Cari amici, spiace molto non poter essere tra di voi, ma pianificare quest'anno è cosa complicata».

Eppure, sul piano prettamente sportivo, nonostante una primavera e un'estate col punto di domanda, il Lugano ha dato l'impressione di riuscire a destreggiarsi bene, muovendosi con maestria nelle pieghe di un mercato rinsecchito dalla pandemia. Nonostante un budget più ridotto del solito. «È un budget-Covid - spiega subito il Ceo del Lugano, Marco Werder -. Abbiamo adottato la decisione di effettuare una gestione dei rischi un po' diversa, pensando sia al fattore economico, che ci permette di avere un approccio migliore, sia alla tempistica, legata alla valutazione della situazione legata al Virus che ci permette pure di reagire a corto termine. Senza dimenticare l'aspetto sportivo, che ci offre l'opportunità di avere con noi dei grandi giocatori, a cui possiamo mostrare la nostra realtà. Ciò che naturalmente al tempo stesso è accattivante per i nostri tifosi, ma pure - immagino - per tutti gli appassionati di hockey del nostro Paese».


Il 'diesse' Hnat Domenichelli (Ti-Press/Crinari)

Così, alla fine, saranno ben dieci i volti nuovi sul ghiaccio della Cornèr Arena. Alcuni dei quali, però, con un contratto a termine: cioè lo svedese Tim Heed (contratto sino a metà novembre), il canadese Daniel Carr (fino a metà novembre con opzione sino a Natale) e il Nazionale Philipp Kurashev (fino a data da stabilire), a cui si aggiungono il danese Mikkel Boedker, lo statunitense Mark Arcobello, oltre a vari Eliot Antonietti, Bernd Wolf, Matteo Nodari, Raphael Herburger, e Tim Traber. Tanta gente. Tanta gente di peso, soprattutto. Ma chi chiede a Hnat Domenichelli se ritiene che il suo Lugano è la squadra che s'è mossa meglio sul mercato estivo, il 'diesse' bianconero risponde così. «La verità è che dobbiamo aspettare ancora un paio di mesi prima di riuscire a capire dove siamo, perché non siamo fuori dall'emergenza Covid e non sappiamo esattamente cosa succederà. Né qui, né in America - spiega -. Di principio quest'anno l'obiettivo non era fare dei contratti corti, ma non c'erano molte altre scelte. Poi, fra un paio di mesi vedremo dove saremo».

La parola d'ordine, insomma, è prudenza. «Voglio fare tesoro di quanto ho imparato nella scorsa stagione, che era la mia prima, e in cui forse abbiamo parlato un po' troppo: quest'anno invece parliamo un po' meno, e lasceremo che sia il ghiaccio ad avere l'ultima parola».

Per il ruolo di centro solo l'imbarazzo della scelta

Di sicuro, con Arcobello, Herburger, Lajunen, Kurashev, Sannitz, Suri e anche Morini, al centro non ci saranno problemi di copertura. «È una scelta che nasce dalla mia filosofia - spiega Domenichelli. - Non si può mai dire di avere abbastanza centri, poi se del caso si fa in fretta a spostarne uno all'ala. Senza contare, poi, che con una situazione come quella del Covid abbiamo bisogno per forza di una rosa che sia il più ampia possibile, tenendo soprattutto conto dell'eventualità che qualche giocatore sia costretto ad allontanarsi per qualche giorno a causa della quarantena. Senza contare, poi, che possiamo contare su quei quattro o cinque giocatori che andranno a giocare con i Ticino Rockets. L'importante è che tutti trovino una sistemazione sul ghiaccio: non vogliamo che capiti ciò che era successo all'inizio della passata stagione, in cui ci sono stati giocatori costretti a stare in tribuna per dieci o dodici partite».

A proposito di Rockets, per il direttore sportivo bianconero ciò che è successo negli scorsi giorni a Biasca non ha l'effetto di un campanello d'allarme. «Sono cose che quest'anno dobbiamo essere pronti ad accettare, e che non sono colpa di nessuno. La verità è che in Svizzera siamo tutti sulla stessa barca». 

Anche se, in verità, molto dipenderà da ciò che succederà nei prossimi mesi anche al di là dell'oceano, quando la National Hockey League deciderà di partire con la nuova stagione. «In verità io sono tranquillo. Perché ogni giorno sono in contatto con i giocatori e seguo costantemente l'evoluzione della pandemia in Nordamerica. Però, è chiaro, stiamo vivendo in questo 2020 una situazione mai successa, e nessuno adesso è in grado di dire esattamente come finirà. Quando conosceremo esattamente gli sviluppi della situazione cercheremo di trovare la migliore delle soluzioni».

Giù dall'auto con la mascherina

Quest'anno alla Cornèr Arena, come del resto in tutti gli altri stadi della Svizzera, i tifosi dovranno dar prova di grande pazienza. «Siamo riusciti a interrompere la campagna abbonamenti a quota 2900 tessere, e visto che quest'anno la capienza in pista sarà di 3500 posti, a ogni partita potremo garantire 600 biglietti per i nostri tifosi, che potranno seguire almeno qualche match - aggiunge il Ceo Marco Werder. Il fatto è che questa non sarà una stagione come le altre. È una nuova normalità, e soprattutto all'inizio non tutto sarà perfetto: bisognerà quindi dar prova di capacità di adattamento, oltre a tolleranza e flessibilità». 

E non soltanto all'interno dello stadio. «Il Cantone ci ha imposto due nuove zone di competenza - spiega il direttore amministrativo Jean-Jacques Aeschlimann -. Se prima eravamo responsabili unicamente di ciò che accadeva all'interno dei cancelli della Cornèr Arena, durante la pandemia dovremo monitorare anche ciò che capiterà nell'area che va da via Sonvico alla panetteria Brumana fino al Cinestar. Già all'interno di quel perimetro i tifosi dovranno indossare la mascherina: praticamente la dovranno mettere non appena scenderanno dall'auto. Ed è quella, se vogliamo, la sfida: infatti il problema non è indossarla quando si sta al proprio posto, seduti».

Questione di sicurezza. «All'interno dello stadio ci saranno delle nuove suddivisioni, e per molta gente cambieranno anche le entrate d'accesso. Soprattutto, però, dovremo fare in modo che non si verifico assembramenti durante le pause. Anche se, lo ricordo, bevande e cibo si potranno consumare soltanto al proprio posto, dopo essersi riforniti ai punti di ristoro. Sono tutte abitudini che andranno cambiate, ma starà a noi ricordare alla gente ciò che non viene tollerato: per questo motivo ci sarà del personale che si occuperà di sensibilizzare le persone».

Una cosa, però, è chiara. «Abbiamo lavorato in questi mesi per garantire che tutti i nostri spettatori possano assistere alle partite in piena sicurezza, ma noi possiamo arrivare fino a un certo punto: da lì in poi serve l'autodisciplina, ed è importante che tutte le regole vengano seguite. Anche perché - conclude Aeschlimann - siamo marcati stretti dal Cantone».

MARK ARCOBELLO

'Una nuova sfida per nuovi stimoli'

In dote si porta qualcosa come 247 punti in quattro stagioni: 48 nello scorso campionato, 67 in quello precedente, 57 in quello ancora prima e 75 nell’anno del suo arrivo in Europa, tutti con la maglia del Berna. Poi Mark Arcobello ha scelto il Ticino. Come mai? «Sono diverse le ragioni che mi hanno spinto a cambiare aria - racconta il 32enne nato nel Connecticut -. La principale è che dopo quattro anni sentivo il bisogno di provare qualcosa di nuovo. Fossi rimasto a Berna, probabilmente mi sarei ritrovato con in mano un contratto per altri tre anni o giù di lì, cosa che mi avrebbe portato a giocare sette anni nella medesima squadra. E a mio avviso sono tanti, troppi… Quando rimani a lungo nello stesso posto tutto si fa più ordinario, e si spegne anche un po’ la fiamma. L’ultimo anno, poi, avevamo un’ottima squadra, ma le cose non sono andate nel verso giusto, anzi... Ecco, se ho scelto di cambiare squadra è essenzialmente perché volevo una nuova sfida: andavo cercando qualcosa che mi permettesse di riaccendere il 'fuoco' dentro di me. Porto con me molti bei ricordi del mio trascorso a Berna, ma sono contento della mia scelta: a Lugano penso di ritrovare quegli stimoli che mi permetteranno di tornare nuovamente protagonista».

Cosa ti aspetti da questa stagione? «Logicamente questa sarà una stagione parecchio diversa dalle mie altre trascorse in Svizzera, ma non dobbiamo farci distrarre da altre questioni: il nostro focus deve essere puntato solo sull’hockey giocato e nient’altro, partita per partita. Ho comunque grandi aspettative per questa mia nuova avventura, personali e per il gruppo. Siamo una buona squadra, ricca di elementi tecnicamente validi e ben bilanciata nelle linee. Da quanto ho visto, questo Lugano può ambire a candidarsi come uno dei pretendenti al titolo».

Ti sei già fissato un obiettivo personale per la stagione entrante? «Il mio obiettivo non di discosta da quello degli anni precedenti, ossia fare di tutto per aiutare nel miglior modo possibile i miei compagni. Le qualità che possiedo sono i miei punti di forza, che cercherò di sfruttare al meglio. Negli scorsi anni l'avevo fatto e ne avevo raccolto i frutti: adesso sono pronto a rifarlo a Lugano, portando in pista le stesse risorse e il medesimo impegno che avevo messo sul ghiaccio della PostFinance Arena».

C’è qualcuno dei tuoi nuovi compagni che ricordi in modo particolare dal tuo trascorso nella capitale? «Ogni volta che giocavamo con il Lugano era tosta. Erano sfide combattute, e per un attaccante, seppure bravo, era difficile venire a capo dei difensori bianconeri. Sotto porta o all’angolo erano sempre battaglie. Soprattutto quando dall’altra parte c’era gente come Chiesa. Insomma, sono veramente contento di averli come compagni ora, anziché in qualità di avversari».

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