Hockey

Hockey e Covid: giocatori pronti a diminuirsi lo stipendio, ma...

Chiesa: 'Ognuno deve fare la sua parte, ma le soluzioni generalizzate non vanno bene. Bianchi: 'Prematuro pensare a una misura definitiva'

Trattative in corso (Ti-Press)
31 maggio 2020
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La questione di come i giocatori di hockey possono contribuire ad aiutare i propri club a trarsi d'impiccio dalla difficile situazione venutasi a creare con la crisi del coronavirus «è troppo complessa per pensare a una soluzione comune per tutti». A dirlo è il capitano del Lugano Alessandro Chiesa dopo la riunione, giovedì, dell'Associazione dei giocatori di hockey, cui la Lega aveva chiesto di pronunciarsi. Orbene: «La nostra è una realtà troppo differente tra una società e l'altra, e, non da ultimo, tra un giocatore e l'altro: sarebbe impensabile trovare una soluzione comune capace di rispondere alle esigenze di tutti rispettando la massima correttezza di tutte le parti in causa – ha commentato Chiesa –. L'idea che ognuno faccia la sua parte per mitigare le gravi ripercussioni finanziarie che la pandemia di coronavirus sta avendo sulle casse dei club è comunque condivisibile e, appunto, condivisa anche da tutti noi giocatori, e questo mi preme sottolinearlo. Ma, come detto, le soluzioni vanno discusse caso per caso, senza fare di ogni erba un fascio. Ecco perché alla fine delle discussioni ci è sembrato più saggio andare in questa direzione». 

Detta in soldoni: sì al taglio degli stipendi per dare una mano, no a una decurtazione generalizzata.

«Ora come ora è ancora la situazione è troppo incerta: in uno scenario così sarebbe prematuro pensare di arrivare a una soluzione definitiva come una riduzione generalizzata degli stipendi, anche perché allo stato attuale non sussistono nemmeno le garanzie con questa ricetta sia ideale per ogni società», gli fa eco il capitano dell'Ambrì Piotta Elias Bianchi -. Fatte queste considerazioni, la cosa più logica da fare è quella di preferire, appunto, soluzioni individuali anziché generalizzate».

'Salary cap', se ne riparlerà

La stretta attualità ha fatto sì che venissero accantonate, almeno temporaneamente, altri temi che stanno facendo parecchio parlare in questi giorni. Come quello dell'eventuale introduzione (comunque non realizzabile a corto-medio termine) di un tetto salariale (il cosiddetto 'Salary cap'). «Ne abbiamo parlato solo a grandi linee, senza comunque entrare nel dettaglio, e in particolare senza discutere come eventualmente si potrebbe realizzare dal profilo strutturale - spiega Elias Bianchi -. È comunque probabile che ne torneremo a parlare in modo più approfondito nel corso dei prossimi incontri: il nostro obiettivo a medio termine è quello di farci trovare pronti con le nostre considerazioni quando tutte le parti in causa discuteranno concretamente la fattibilità del 'Salary cap', in modo che anche la nostra voce possa essere ascoltata».

Al proposito, il capitano biancoblù pensa che «se partiamo dal presupposto prettamente economico, l'introduzione di un tetto salariale sarebbe un vantaggio per tutti, tranne che per i giocatori, ovviamente. Oltre a fornire chiare linee direttive per i budget societari, il Salary cap potrebbe livellare il livello tra una squadra e l'altra. Resta però da vedere se tutte le squadre, specie quelle abituate a occupare i vertici del nostro campionato, saranno disposte a perdere un po' della loro competitività. Ma, cosa ancora più importante, si dovranno verificare e se del caso realizzare le premesse per poterlo introdurre». «Quella del tetto salariale è una delle strategie che la Lega sta studiando per contenere i costi - rileva a sua volta Alessandro Chiesa -. Sul principio che di limitare il monte salari si può anche discutere. Oltrove, come nella Nhl, il tetto salariale è stato introdotto con successo, è vero, ma quella è tutta un'altra realtà: se vogliamo andare in questa direzione anche in Svizzera è necessario verificare che ci siano tutte le premesse, anche solo giuridiche, per poterlo fare».

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