Hockey

Cereda e Duca: guidare l'Ambrì fa paura, ma è una bella sfida

Autoritratto di due 'gemelli diversi'. L'allenatore e il direttore sportivo dei biancoblù si raccontano alla Regione: dai primi passi sul ghiaccio alla dirigenza.

(Luca cereda e Paolo Duca ieri e oggi)
29 novembre 2019
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Dopo un percorso sportivo che fin da piccoli, li ha fatti incontrare e dividere a più riprese, nel 2017 erano diventati i più giovani dirigenti di hockey in Svizzera: allenatore uno, direttore sportivo l’altro. Luca Cereda e Paolo Duca si narrano seduti su una vissuta panca rossa in uno spogliatoio disadorno. Ma in fondo, se la luce, i colori e i dettagli di un quadro sono nei primi piani, lo sfondo è superfluo.

Vi succede di litigare?

S’interrogano a lungo con lo sguardo. «Non spesso, eh?» abbozza Cereda. Duca è categorico. «Mai». Cereda: «Vediamo tante cose alla stessa maniera. Ogni tanto mi piacerebbe essere come lui, più diretto. Impulsivo, posso dirlo?». «Sono mooolto impulsivo (forse le tre ‘o’ sono più di tre, ndr) – sorride Duca –, diretto e poco riflessivo».

C’è una caratteristica dell’altro, che vi piacerebbe avere?

Cereda non ha dubbi. «La forza di aggredire subito le cose – sorride, guardando Duca che ride –. Lui butta fuori, ma poi la questione finisce lì. Io invece penso e ripenso, consumando un casino di energia. Arrivo come Paolo, quando il vaso è colmo». «È rarissimo; non l’ho mai visto arrabbiato da perdere il controllo. Di lui – prosegue Duca – vorrei la capacità di ascoltare e vedere al di là del proprio punto di vista. In questo – rivolto a Cereda – sei forte. Percepisci le cose; hai una sensibilità nel capire situazioni e persone, data dalla capacità di ascoltare, riflettere e analizzare. – Pausa – Un po’ sto imparando, adagio adagio. Capita che lui entri in spogliatoio, saluti tutti e, tornati in ufficio, mi dica: ‘C’è qualcosa che non va con tal giocatore’. Uno sguardo, un modo di fare... E immancabilmente è così. Io non mi accorgo di determinate dinamiche sociali».

Chi il più testardo?

Cereda: «Penso entrambi». Duca. «Siamo due arieti, due ‘teste dure’. Se lui vuole arrivare da qualche parte, lo fa; io pure. Nel modo di arrivarci siamo simili, perché figli della stessa filosofia». Cereda: «Abbiamo avuto tanti imput analoghi». Duca: «Siamo hockeisticamente simili e oggi condividiamo pure parecchi valori legati alla vita. Ciò rende ci rende più compatibili e tutto è più facile tra noi».

Cosa augurate all’altro?

Il più rapido è Duca. «Di ritrovare la fiducia nel proprio corpo, lasciando alle spalle il problema che aveva avuto al cuore (Cereda guarda un punto oltre il muro e annuisce, ndr), che gli lascia strascichi, dolori quotidiani e preoccupazioni». Sorride, lo guarda. «Spero li risolva». Cereda: «Anche io gli auguro la salute. Se non hai quella, iniziano i veri problemi. È la sola cosa che conta. Con il resto – sorride – ce la si cava».

Il compito che avete assunto, fa paura?

«Certo» è la rapidissima risposta di Paolo Duca. Quella di Cereda è spiazzante: «A me ciò che pesa, è che voglio continuare a vivere in Ticino». Ehm, cioè? Duca ride; non di scherno, ma comprensione. «Non siamo due che arrivano da chissà dove, fanno il lavoro, se ne vanno. La nostra è una condizione che molti non vivono».

Leggi tutta l'intervista sul giornale 

 

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