Hockey

'Ciao Lugano'. E inizia il sogno americano di Merzlikins

Il 25enne portiere lettone cresciuto in Ticino un’ultima volta alla Cornèr Arena prima di spiccare il volo per Columbus, dove proverà a sfondare in Nhl

8 agosto 2019
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Lugano – Un ultimissimo sguardo al ghiaccio che l’ha visto crescere. Poi i sorrisi, le pacche sulle spalle e qualche battuta con quelli che, ormai, di Elvis Merzlikins sono gli ex compagni di squadra. Ospitato un’ultima volta dal Lugano, quello nuovo, targato Sami Kapanen. Prima di spiccare definitivamente il volo per gli States, con destinazione Columbus, dove il venticinquenne portiere nato a Riga e poi trapiantato a Lugano vivrà la sua personalissima versione del sogno americano. Lui che, draftato sei anni or sono dalla franchigia dell’Ohio, al terzo turno, il 20 marzo scorso aveva firmato un contratto ‘one way’ entry level, da quasi 900 mila dollari per una stagione.

«Se sono pronto? Certo che lo sono!» esclama il portiere. Che da quand’aveva debuttato in prima squadra, il 28 settembre del 2013 a Malley, in bianconero ha collezionato 266 apparizioni in campionato. «Negli ultimi giorni, mentre passeggiavo in città, cercavo di memorizzare il più possibile i posti e le immagini a me più cari, da tenere nel cuore come ricordo».

Che Lugano lasci?

Lascio una squadra che ha lavorato tantissimo. E intensamente. Con cui ho avuto anche la possibilità di allenarmi sul ghiaccio per qualche giorno, ciò che mi ha permesso di fare conoscenza con Kapanen. Naturalmente non è che ci abbia parlato granché, ma l’impressione che ho di lui è ottima. Mi sembra una persona umile e tranquilla, ma sa il fatto suo. E vuole molta disciplina: credo che sia ciò di cui ha bisogno questa squadra. E al Lugano, come ai Rockets, auguro di vivere un’ottima stagione.

A proposito di Rockets: a Biasca ti sei allenato durante tutta la scorsa settimana.

È stata senz’altro una bella cosa, dopo aver lavorato parecchio sul piano atletico con l’ex pugile Ruby Belge, di cui ho approfittato parecchio, visto che mi allenavo due, tre volte al giorno. A Biasca c’è davvero un bellissimo ambiente, e poi ho potuto giocare con Sascha Tosques, che è un amico. Il che non guasta mai.

Ora, però, quello è il passato...

Già, purtroppo è arrivato il momento dei saluti. Per prima cosa farò tappa a Detroit, dove lavorerò un mese intero con un allenatore che si occupa di portieri. Questo finché arriverà il momento tanto atteso, ovvero il 7 settembre, giorno del mio primo allenamento ufficiale sul ghiaccio con i Columbus Blue Jackets.

Pur non potendo giocare, evidentemente, un primissimo impatto con la tua nuova realtà l’avevi tuttavia già avuto a fine marzo, dopo l’eliminazione del Lugano nei quarti dei playoff con lo Zugo.

«Credo sia stata la scelta giusta, quella di volare a Columbus per il finale di stagione. Era un’occasione per capire cosa significhino i play­off Nhl, per scoprire cosa rappresenti quel mondo. Devo ammettere che è un’altra cosa trovarsi in uno stadio in cui ci sono più di ventimila spettatori: pur se il pubblico non canta, vive molto intensamente le partite. E quando arriverà il momento dovrò farmi trovare pronto. Se sarò nervoso? Indubbiamente lo sarò, ci mancherebbe. Pure quando debuttai nel Lugano in prima squadra l’adrenalina era a mille...»

Manca ancora una sessantina di giorni all’avvio della nuova stagione oltre oceano, ma c’è già chi crede fermamente in te. Come Ray Ferraro ad esempio, l’ex centro di Whalers, Islanders, Kings e Trashers, tra gli altri, che ora, da commentatore per l’emittente canadese Tsn, dice che tu hai i numeri per essere numero uno.

Questo non lo sapevo, e devo ammettere di essere molto onorato delle sue parole. Pur se io sono uno che non si sofferma su ciò che dicono, o scrivono, sul mio conto. Infatti per chi scrive è facile dare dei giudizi, positivi o negativi che siano. Alla fine, però, l’unica cosa che conta sono le prestazioni sul ghiaccio. E nient’altro.

Quando sei arrivato per la prima volta alla Nationwide Arena come ti hanno accolto?

Molto bene, direi. Naturalmente non ho avuto tempo per stringere grandi amicizie, ma ho subito ricevuto la possibilità di allenarmi sul ghiaccio con i ragazzi che non giocavano. Ed è andata bene, pur se loro avevano naturalmente un ritmo maggiore, siccome io non giocavo da un paio di settimane.

Il primo impatto con gli States, invece?

Basta un aggettivo per capire: gigantesco. Là tutto è grande, immenso. È quella la grossa differenza con la Svizzera. Ma a parte l’imponenza, la città è bella, è pulitissima. Naturalmente ci sono molte cose che ancora non conosco, ma avrò tempo per farlo. Pur se di sicuro non vado a Columbus per fare il turista.

Nelle terre del sogno americano, oltre che nell’era del controverso Trump.

Ho scelto l’America per giocare a hockey, non per buttarmi in politica (ride, ndr). E poi, sinceramente, non saprei cosa dire...

Sfondare nel campionato più bello del mondo non rischia di essere più difficile per qualcuno che arriva da fuori, rispetto a un nordamericano? Tu come immagini la situazione?

Sinceramente non vedo grandi differenze. Non solo perché rispetto a un tempo ci sono un sacco di europei, ma soprattutto perché in National Hockey League non fanno distinzioni. Quando arrivano là, tutti partono da zero e se la giocano alla pari con qualsiasi compagno. Europeo o americano che sia.

L’hockey sarà pure la tua vita, ma naturalmente non è tutto. Ci sono parecchie altre cose a cui bisogna abituarsi.

Direi che per quanto riguarda il cibo sono in ottime mani (sorride, ndr). Infatti la mia ragazza cucina molto bene, quindi da questo punto di vista non devo assolutamente preoccuparmi. Rispetto alla Svizzera, però, cambiano naturalmente tantissime cose. Pensiamo soltanto ai ritmi. A Lugano ogni giorno rimanevo in pista per quattro o cinque ore, tra allenamenti e palestra, e poi ci si fermava a mangiare. A Columbus, invece, ho visto che dopo le due orette di allenamento fondamentalmente sei libero, quindi dovrò riuscire a occupare il tempo a disposizione nel migliore dei modi. Lasciamoci sorprendere...

Cambieranno però anche altre cose. Nella vita vera, concreta, di tutti i giorni, ma pure nella sua rappresentazione sui social, pensando a tutto ciò che si può – o non si può – esternare.

È evidente che la mia vita cambierà. Non dico che lo farà in maniera radicale, ma sarà senz’altro differente. Certe cose che scrivevo prima, scherzando con i miei grandi amici Sascha (Tosques, ndr) ed Elia (Mazzolini, ndr) d’ora in poi non potrò più pubblicarle. Anche perché, purtroppo, nella vita di tutti i giorni non li potrò più frequentare. Comunque io sono io, e rimarrò la stessa persona: è questo il mio carattere, e farò in modo di vivere le mie giornate come sempre. Alla Elvis, insomma.

E quell’Elvis ora come ora che progetti ha?

Vuole giocare (sorride, ndr). Chiaro, prima dovrò capire esattamente qual è la situazione, però so di non avere niente da perdere, quindi cercherò di non mettermi addosso troppa pressione. L’importante per me sarà riuscire a sentirmi a mio agio sulle piste americane, che sono più strette, e imparare bene i nuovi meccanismi. Poi, passo dopo passo vedrò di trovare la mia collocazione in mezzo al gruppo.

A Columbus, quando ci eri stato nel mese di marzo, hai già avuto occasione di incontrare qualche tifoso?

Sì, alcuni di loro li ho conosciuti. È gente solare, che mi ha accolto molto bene. L’ambiente è assai positivo, la gente quasi premurosa. E non lo nascondo, la prima volta che sono entrato allo stadio mi è venuta la pelle d’oca, quando ho visto ventimila persone che sventolavano le sciarpe dei Blue Jackets. È un tifo senz’altro diverso rispetto a quello a cui siamo abituati in Svizzera, ma allo stesso tempo è molto coinvolgente.

A proposito di Svizzera: seguirai ancora il Lugano?

Certamente. Ci mancherebbe! Anzi, proprio in questi giorni mi sono chiesto come potrei fare per seguire in tivù le partite che la squadra giocherà nella nuova stagione...

Ma il tuo è un arrivederci oppure un addio?

Per prima cosa è un ringraziamento. Per ciò che la gente a Lugano ha fatto per me in tutti questi anni, sin da quand’ero piccolo e saltellavo come una cavalletta (ride, ndr). Il mio è un grazie sincero ai tifosi, un enorme grazie a tutti coloro che mi hanno aiutato e che mi hanno permesso di crescere. Ma al tempo stesso è un arrivederci: magari non capiterà tanto presto, ma ci rivedremo!

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