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È un 2021 da ricordare, in attesa delle novità

La supremazia Red Bull e Mercedes, le speranze di Ferrari e le attese di tutti gli altri. Ma anche in futuro i big saranno ancora i big

Quello di Abu Dhabi è soltanto un capitolo: gli altri sono ancora tutti da scrivere
15 dicembre 2021
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È bene rammentarlo: Fia e Liberty Media hanno permesso al Mondiale di continuare a esistere, gestendo l’emergenza Covid e salvando il Circus, permettendo lo svolgimento del Mondiale 2021 su 22 gare in quasi altrettanti Paesi, con un pubblico sempre maggiore, aspettando un 2022 che prevederà addirittura un Gran Premio in più. È bene dirlo prima di sciorinare ore e ore di critiche, perché notoriamente i meriti si dimenticano mentre invece gli errori marchiano.

Tecnicamente, in questa stagione abbiamo vissuto una chiara supremazia binaria da parte di Red Bull e Mercedes-Benz. La prima è stata capace di compiere un gran lavoro a livello aerodinamico, spremendo poi a Mondiale in corso un’inattesa potenza dal propulsore Honda, che a livello di cavalli è arrivato vicinissimo a quello inglese della casa tedesca (ma solo di nome), tanto che si parla di un gap di non più di 20 cavalli, alla fine. Marko e Horner hanno poi saputo portare a progressiva maturazione il talento di Verstappen, rendendolo proficuo, costante, duro e intimidatorio. Nonostante la giovane età, si è imposto per uno stile chiaro che recita circa così: se arrivo in staccata io non alzo il piede, e se posso ti stringo e ti accompagno fuori, quindi cerca di non passarmi, mai. Per i tifosi degli altri 19 piloti un assunto oltremodo eccessivo, ma che ha chiaramente segnato la relazione anche psicologica dei colleghi nei confronti di Max; tutti sanno che senza Drs ampio, passarlo sia un’impresa, e molto rischiosa. Nel tempo, siamo certi, forgerà anche questa caratteristica, che a giusta ragione molto spesso lo ha portato davanti alla commissione Fia per reprimende e multe, ma nel contempo l’olandese viene amato da chi ancora intende la F1 come una lotta, non come sport per signorine raffinate, non come vittima di mille regolamenti che ne uccidono l’essenza: competere solo per vincere. Aveva ben ragione Enzo Ferrari quando affermava che il secondo è il primo degli ultimi: la F1 è questo.

Giusto a dire, allora, che il terzo posto della Ferrari e il quinto di Sainz sono narrazioni per giovani imbranati: se fosse vivo il ‘Drake’, nel suo ufficio dalle mattonelle gialle come da Niki Hasler sarebbero volate parole grosse, penne e stracci. Il signor Binotto deve rendersi conto che dopo avere menato il torrone per oltre 20 mesi, dicendo che sarà il 2022 l’anno in cui giudicare la vera Ferrari, a forza di spostare l’asse temporale dell’attesa si è messo in un vicolo cieco: se tutto andrà bene avrà solo fatto il suo dovere, se tutto andrà male, o anche solo così così, sarà lapidato sulla pubblica piazza, che di questi tempi sono giornali e social. Se John Elkann è arrivato a pensare seriamente di riprendere a bordo Jean Todt dopo che le relazioni si erano rotte in modo complesso (non diciamo altro per evitare noie legali), questo la dice lunga su un problema che attanaglia la Ferrari, dalla produzione alle corse: totale assenza di un vero leader che conosca quel mondo, non quello dei semiconduttori.

Quanto ad Hamilton, questo Mondiale l’ha perso prima, non domenica, con quel picco negativo di performance a metà campionato, nonostante le due uscite di Verstappen. Perché, oggettivamente, per l’intera stagione oltre che dalle sue capacità l’inglese è stato aiutato da una fortuna sfacciata: quando si rompeva un pezzo era quello di Bottas, se capitava un pit stop un poco più lungo del solito era quello del finnico, e via dicendo. Ma se il concentrato di sfortuna gli è stato servito tutto all’ultima gara sotto forma di qualche disordine gestionale Fia, resta il fatto che spesso il sette volte campione del mondo non sia stato supportato dalle strategie del muretto, non al pari di quello di Horner. Questo è ciò che l’ha davvero privato dell’ottavo sigillo, non la confusione di Abu Dhabi.

Poi ci sono Alfa Romeo e Sauber, il cui nome ci aveva fatto sognare, a giusta ragione, ma la morte di Marchionne ha reso il percorso completamente diverso rispetto al progetto iniziale, perso nei corridoi torinesi nel corso di un acquisto di Psa su Fca spacciato per sinergia (la parola magica delle bugie), salvato in extremis dalla sincera passione corsaiola di Carlos Tavares e Jean Philippe Imparato, i due manager che però ora chiederanno conto a Fred Vasseur di un nono posto opaco e sterile. Certo che la relazione pessima del francese con Binotto non abbia aiutato per nulla, ma così è. Toccherà ai piloti Valtteri Bottas e Guanyu Zhou fare qualcosa insieme ai tecnici, e il budget cup potrebbe aiutare.

Sì, perché nel 2022 cambieranno davvero molte cose, e ve le racconteremo presto. Poche illusioni, comunque, perché i grandi resteranno tali e i piccoli idem. E non ci saranno enormi cambiamenti di classifica: soltanto Lewis Hamilton avrà un anno in più e molta fame, contro un Max Verstappen carico e sicuro del suo valore.

L’addio di Iceman

‘In quest’ambiente gli amici non esistono’

Kimi Raikkonen, 42 anni, entrato in F1 alla Sauber nel 2001 in virtù di un patentino speciale perché al tempo era ancora minorenne, campione del mondo con la Ferrari nel 2007 (ultimo titolo del Cavallino, per intenderci) e capace d’interrompere brevemente la carriera in F1 per passare ai rally: un’icona di pilota, che ha battuto il record di Gp di Barrichello ed è il più amato dai tifosi dopo Michael Schumacher. Chiamato IceMan poiché capace di mutismi imbarazzanti a conferenze stampa e incontri con sponsor, in realtà nel privato e con la gente del team è uomo capace di risate e goliardie inimmaginabili, e ha pure versato qualche lacrima commossa pochi giorni fa a Hinwil quando ha salutato il personale col figlio in braccio. Gli abbiamo chiesto come sarà il dopo, lui ha risposto così. «La F1 non è tutto nella vita: sarà bello dedicarsi alla famiglia, a mia moglie, vedere crescere i figli. La F1 è solo una parte: non mi pesa smettere, era prevedibile».

Intanto tuo figlio Robin sta iniziando con i kart: «Mi pare che in Svizzera si possa iniziare a gareggiare a 7 anni, in Finlandia invece prima. Per ora deve solo divertirsi e non pensare a nulla, poi vedremo».

Qualche rimpianto, nel lasciare la F1? «In questo ambiente non ci sono amici – dice, schietto –. Ci sono persone con cui lavori molto, intensamente, e si spera bene: però non sono tuoi amici. Se sei il campione del mondo ti trattano bene, poi il giorno dopo se ne dimenticano. Ma è giusto che sia così. Ecco perché è bello smettere: vuole dire tornare liberi di vivere una vita vera. Questa era una specie di finzione votata al risultato, in uno sport che ho amato e amerò per sempre. Ma fuori è diverso, è del fuori che ora ho voglia, che ci crediate o meno. Quindi per me quella di lunedì è stata una giornata splendida, in una vita da vivere».

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