Formula 1

Venticinque anni dopo, come se fosse ieri

Domani sarà già passato un quarto di secolo da quel maledetto weekend di Imola che segnò il destino del campione brasiliano e quello di Roland Ratzenberger

(Keystone)
30 aprile 2019
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Il mito non lo si scopre mentre si sta vivendo quell’era. Il mito si rivela man mano che il tempo scorre, e nel cuore di milioni di appassionati non langue, non si opacizza. Semmai si amplifica, diventa memorabile e sempre più inscalfibile. Perché mito, appunto.

Il pomeriggio del primo maggio di 25 anni fa un destino beffardo si abbatté su Ayrton Senna da Silva, per essere completi nel racconto della storia di un ragazzo che fu tre volte campione del mondo, e che il tempo ha reso un immenso per sempre.

Un weekend maledetto, raccontato stupendamente in ‘Suite 200’ di Giorgio Terruzzi, e fotografato da Ercole Colombo con un volto malinconico che fece dire, la sera prima, al grande fotografo monzese che di Senna conosceva ogni piega del suo volto che ci fosse qualcosa che non andava. Dopo che già nelle prove Rubens Barrichello – brasiliano pure lui – ebbe un incidente violentissimo, e poi nelle qualificazioni l’austriaco Roland Ratzenberger si uccise alla curva Villeneuve di Imola. Ayrton scenderà in pista la domenica con la bandiera austriaca nella monoposto in omaggio al giovane collega perito, dopo aver passato ore per chiedere di non correre.

E poi cominciò la gara. Con Lehto e Lamy che si scontrarono, ferendo alcuni spettatori al Santerno. Quindi entrò la Safety Car sino al quinto giro, e poi arrivò il maledetto settimo. La Williams, progettata da un giovane e talentuoso Adrian Newey, entrò velocissima al Tamburello e il piantone dello sterzo si spaccò: sarà difetto strutturale, secondo la sentenza del tribunale. Anche oggi, tuttavia, l’ingegnere britannico non si dà pace, e al solo ricordo dell’incidente si commuove.

Per cercare di limitare i danni, Senna a quel punto prova a frenare ma non può evitare il botto con le barriere: picchia duro, rimbalza, la monoposto si sbriciola. Lui invece rantola, muove poco il collo, lo piega, e infine resta immobile. Tra le macchie di sangue e i soccorritori coscienti di quanto grave sia la situazione.
Con il chirurgo inglese ‘Sid’ Watkins, per anni medico ufficiale del Circus, che comprende subito la serietà della situazione. Poi il volo all’ospedale, finché alle 18.34, all’età di 34 anni, Ayrton Senna muore. La sua è la stessa fine di molti campioni, prima di lui. E ne consacra il mito perché il suo carisma, la sua impronta valica quella piccola barriera costituita dal tempo.

Ma Senna non era un santo. In corsa le suonava a tutti, e nella sua carriera ne ha fatte tante pure lui. Ma la dolcezza del suo sguardo e la sua straordinaria dote lo hanno reso davvero immortale.

È nata una stella

Gran Premio di Montecarlo del 1984. Piove a dirotto, la pista sembra una piscina anche più di quella vera e propria, a ridosso della chicane. E intanto un giovane ragazzo brasiliano recupera quattro secondi al giro all’altezzoso Prost, al volante di una monoposto inglese che Enzo Ferrari avrebbe definito «da meccanici» che di nome fa Toleman. Finirà secondo, e nessuno dei giornalisti allora presenti in tribuna poté non convenire che quel giorno era nata una stella. Senna che con lo stesso Prost avrebbe poi litigato per una vita intera, tanto i due erano diversi, agli antipodi. E un giorno, quando un cronista gli chiese se almeno stimasse Prost sportivamente, la risposta di Senna fu un lapidario «no».

Uno degli episodi indelebili della lotta tra i due fu quello di Suzuka nel 1989. Quando Senna spinge fuori il Professore cercando di sbarrargli la strada verso il titolo, con una tiratona che resterà negli annali. Il francese scende convinto di avere il titolo in tasca per via degli scarti dei punteggi, e il brasiliano resta nella monoposto, una McLaren semplicemente imbattibile, rientra spinto dai commissari e vince. A seguire arriva la squalifica, appunto, per l’aiuto subito. Lui piange, si commuove e medita un giorno di riprendersi quel titolo iridato che aveva perso da poco. A causa di quel pilota dal naso storto e dal sorriso beffardo.

Del resto, nel 1988 – sempre a Suzuka – Senna aveva sverniciato il transalpino sul rettifilo, andandosi a prendere vittoria e titolo dall’alto di otto gare vinte, e una gioia che anche in quel caso arrivò a commuoverlo.

‘Respiriamo tutti la stessa aria’

Ayrton era il mago delle pole-position e il suo record straordinario è stato battuto solo nella scorsa stagione da Lewis Hamilton, che nell’occasione ricevette il casco originale di Senna per volere della sua stessa famiglia. Il caraibico pianse a lungo con quel casco in mano, lui che è sempre tanto abile con i media, lo portò al cielo e urlò nel microfono che quello per lui era il giorno più bello della vita, per il solo fatto di avere tra le mani l’elmetto di quello che era il suo mito, sin da quand’era ragazzo. Gli occhi lucidi e i lacrimoni che scesero fanno esattamente parte di quello che stiamo cercando di raccontare: essere un mito.

Un paio delle sue frasi spiegano meglio di molte parole chi fosse Ayrton Senna. Quando diceva «non esiste una curva in cui non sia possibile sorpassare», o ancora che «ogni persona ha la sua fede, il suo modo di guardare alla vita. La maggior parte della gente rifiuta temi come questi. Per quanto mi riguarda l’importante è essere in pace con sé stessi. Il modo per trovare questo equilibrio per me passa attraverso la fede in Dio».

Senna aveva una fede molto grande, e rispetto ad altri suoi colleghi, ed anche grazie al suo nome, si è permesso di parlare di temi sociali, oppure personali e intimi, senza mai nascondere il suo senso di protezione e la sua voglia di fare qualcosa per gli altri. Un esempio è la Fondazione che ancor oggi porta il suo nome, di cui si occupa con amore e molta dedizione sua sorella Viviane e che si occupa di far studiare ragazzi non abbienti, dando loro la possibilità di avere un futuro migliore. «I ricchi non possono vivere su un’isola circondata da un oceano di povertà – disse un giorno –. Noi respiriamo tutti la stessa aria. E bisogna dare a tutti la stessa possibilità».

Questo era Senna. Un pilota tre volte campione del mondo di Formula 1, un ‘poleman’ straordinario, ma soprattutto un uomo sensibile che, in fondo, con la sua grandezza non ha mai smesso di continuare a vincere nel cuore di tanti appassionati.

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