CALCIO

I difensori più soggetti al rischio di contrarre la Cte

Secondo uno studio del professor Stewart dell'università di Glasgow hanno cinque volte più probabilità rispetto alla popolazione normale

(Il colpo di testa non è salutare)
2 agosto 2021
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Tra i calciatori, sono di difensori a correre i rischi maggiori di contrarre la Cte, l'encefalopatia traumatica cronica) o altre malattie neurodegenerative. Sono le conclusioni alle quali è giunto uno studio pubblicato dall'università di Glasgow. Tra i portieri, ad esempio, il rischio non è più elevato rispetto a quello della popolazione normale, ma gli altri giocatori hanno quattro volte più probabilità di contrarre la Cte. E si sale addirittura a cinque volte di più per quanto riguarda i difensori, in quanto più soggetti a infortuni alla testa e, comunque, più sollecitati nel gioco aereo. Altro fattore di rischio, sempre secondo lo studio dell'università di Glasgow, è rappresentato dalla durata della carriera: rispetto a un non calciatore, il rischio è due volte superiore in caso di carriera corta, ma sale a cinque volte nel caso in cui si giochi per molti anni.

«Allo stadio attuale delle conoscenze – ha affermato il neropatologo Willie Stewart, professore all'ateneo di Glasgow – suggeriamo che i palloni da calcio vengano venduti con l'avvertenza: “I ripetuti colpi di testa su un pallone da calcio possono comportare un rischio accresciuto di demenza”. In questo studio il fattore di rischio di contrarre la demenza o un'altra malattia neurodegenerativa è chiaramente identificato e può dunque essere eliminato».

Il professor Stewart si spinge fino a preconizzare cambiamenti radicali nella pratica dello sport più popolare al mondo... «Per il momento non ho mai avuto la prova che colpire un pallone con la testa sia benefico per la salute. La pratica del calcio è formidabile, in quanto diminuisce l'incidenza di molti tipi di tumore e di malattie cardiovascolari, ma può anche provocare terribili demenze e in questo non ci vedo alcunché di positivo».

L'équipe dell'università di Glasgow ha portato avanti il suo studio basandosi sull'esame dei dossier sanitari di circa 8'000 ex calciatori professionisti scozzesi e di 23'000 individui della popolazione non calciofila, appartenenti a epoche diverse.

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