Calcio

The show must (not) go on

Mentre la maggior parte delle discipline sportive pensa già alla prossima stagione, il calcio si è intestardito cercando di concludere quella interrotta

9 maggio 2020
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“Ne usciremo migliori”. Una frase decisamente inflazionata in questi mesi di convivenza forzata con il coronavirus e che a seconda di chi e come la pronuncia, assume colori e sfumature differenti. A volte regala una speranza, in altre occasioni urla una necessità. O ancora nasconde un’ironia nemmeno troppo velata, una paura, una critica a come eravamo prima e un consiglio su come dovremmo essere. Sì, come eravamo, perché posto che per capire se davvero ne usciremo migliori bisognerebbe innanzitutto definire cosa si intende per migliori e rispetto a cosa, aprendo un dibattito che probabilmente nemmeno tra dieci pandemie sarebbe concluso, una delle poche certezze è che ne usciremo diversi. Anzi probabilmente lo siamo già. Non nel profondo forse (anche questo è molto soggettivo), ma senza bisogno di scomodare più di tanto Darwin e la sua teoria dell’evoluzione, tutti abbiamo dovuto adattarci al nuovo e complicato contesto per “sopravvivere”. E anche guardando avanti, lo si fa immaginando una normalità che non sarà più la stessa, in tutti gli ambiti.

Compreso lo sport, inteso in questo caso quello professionistico, rimasto a lungo sospeso in un limbo posto tra la speranza di andare avanti nonostante tutto e la consapevolezza che non sarebbe stato possibile farlo. Perlomeno non come prima. Alla fine quasi tutti hanno accettato questa amara realtà annullando le stagioni che ancora dovevano concludersi (ad esempio l’hockey e il basket), interrompendo quelle in corso (tennis, ciclismo) e posticipando l’inizio di quelle alle porte (moto, formula uno, atletica). Niente sconti nemmeno per i grandi eventi come Giochi olimpici (quelli di Tokyo rimandati al 2021) ed Europei di calcio (stessa sorte).

Già, il calcio, lasciato per ultimo non a caso, in quanto nel gregge alcune sue realtà rappresentano le pecore (nere) che ancora non si sono arrese al lupo. L’Uefa ad esempio ha rimandato l’Euro, ma allo stesso tempo vuole a tutti i costi portare a termine le sue Coppe e ha invitato caldamente le federazioni nazionali a fare altrettanto con i rispettivi campionati. Così se da una parte in Francia, Olanda e Belgio hanno già detto basta, in Germania, Spagna e Inghilterra si è sempre più vicini a una ripresa seguendo protocolli sanitari draconiani e con match rigorosamente a porte chiuse. Una strada che pare intenzionata a percorrere anche la Swiss Football League (le squadre potranno tornare ad allenarsi a ranghi completi da lunedì, ma la maggior parte non lo farà, Fc Lugano compreso), nonostante alla volontà dei vertici di ripartire per garantire le partite promesse a emittenti tv e sponsor si contrappongano i dubbi e le paure - più che fondati - della maggioranza dei club e dei giocatori stessi.

“The show must go on”, cantavano i Queen esprimendo quel desiderio di vivere manifestato attraverso lo spettacolo che deve continuare nonostante le sofferenze. Ma fino a che punto questo ha senso? In fondo, la definizione stessa di spettacolo implica la presenza di un pubblico. Quello vero, sugli spalti, sulle tribune, per le strade. Da casa non è la stessa cosa, per chi gioca e per chi guarda, venendo a mancare quel mutuo scambio di passione che rende tutto più intenso e credibile. E che genera quelle emozioni che tanto ci sono mancate in questi mesi. Quelle vere, però. Senza le quali lo spettacolo sinceramente non è più tale. E se non è uno spettacolo, perché ostinarsi tanto a portarlo avanti?

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