Calcio

'Il campo manca, ma il gol da segnare adesso è un altro'

In attesa di capire se, quando e come si potrà portare a termine questa stagione, il capitano del Lugano Sabbatini ci racconta come vive questi giorni di incertezza

16 aprile 2020
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Il calcio svizzero è sospeso da quasi due mesi, con l’ultima giornata di Super League disputatasi lo scorso 23 febbraio e il susseguente stop agli allenamenti arrivato l’11 marzo in Ticino e cinque giorni dopo a livello nazionale. Un periodo durante il quale la fiammella della speranza di poter riprendere e concludere la stagione entro la fine dell’estate si è assottigliata giorno dopo giorno. E oggi potrebbe o spegnersi (quasi) definitivamente o riaccendersi, a seconda delle decisioni del Consiglio Federale sulle modalità di allentamento dei provvedimenti per contenere l’epidemia di coronavirus. Abbiamo quindi chiesto al capitano del Lugano Jonathan Sabbatini come sta vivendo questi giorni di attesa e incertezza.

«Da una parte la voglia è quella di poter riprendere ad allenarsi e chiudere il campionato, sappiamo quanto sarebbe importante per le società riuscire a farlo - ci spiega il 32enne centrocampista uruguaiano, bianconero dall’agosto 2012 - . Dall’altra però la preoccupazione rimane e penso che sarà così fino a quando non si sarà trovato un vaccino. Inoltre siamo consapevoli che più il tempo passa e più sarà complicato riuscire a concludere la stagione, perché poi c’è quella nuova e le partite da giocare, considerando anche le Coppe, sono ancora molte (13 turni solo di campionato, ndr). Senza contare che la Federazione svizzera deve anche tenere conto di quello che decidono appunto Fifa e Uefa, per cui la vedo dura. Basti pensare che nemmeno in Cina, dove sono un paio di mesi davanti a noi nella lotta al virus, hanno una data per la ripresa del campionato. Ho sentito un amico che milita proprio nel Wuhan (da dove è partita l’epidemia di Covid-19, ndr), Rafael Silva che ha giocato anche a Lugano (13 gol e 4 assist in 33 partite tra il 2013 e il 2014, ndr), il quale mi ha riferito appunto che hanno appena ricominciato ad allenarsi con sedute a coppie o a piccoli gruppi per rispettare le distanze sociali, ma il ritorno alla normalità e alle partite è ancora molto lontano. Figuriamoci per noi».

Una strada quella intrapresa dalle società cinesi sulla quale si stanno però incamminando anche diversi club europei, in particolare in Germania, dove le autorità dovrebbero decidere la prossima settimana se ed eventualmente quando far ripartire la Bundesliga a porte chiuse… «Se fosse possibile farlo rispettando le norme di sicurezza potrebbe essere un compromesso applicabile pure da noi, anche perché allenarsi da soli e senza le strutture adeguate è molto più complicato, però sinceramente in questo momento le priorità sono altre. Certo il contatto con i compagni e il campo mi mancano, ma in situazioni del genere poco importa se siamo calciatori o altro, in primis siamo persone. Il calcio è il mio mestiere e come per tutti il lavoro è importante, non sono contento di non poterlo svolgere, ma in questo momento quello che conta è stare in salute. Tutti, la mia famiglia così come le altre persone».

Con la famiglia, vicina e lontana

Famiglia che già prima dell’emergenza sanitaria era il “passatempo” preferito di Sabbatini… «Diciamo che non sto soffrendo più di tanto la “reclusione” visto che anche prima stavo spesso a casa, mi piace stare con la mia famiglia. Le giornate sono lunghe è vero, ma con due bambini (il primogenito Francesco e Renata, che la moglie Carolina ha messo al mondo poco più di un anno fa, ndr) le cose da fare non mancano, anche perché è più a loro che non bisogna far pesare questa situazione e di conseguenza necessitano di attenzioni continue da mattina a sera. Il momento più tranquillo non a caso è quando si va a dormire, mentre la giornata è tutta a mille e non c’è tempo di annoiarsi. Ma forse è meglio così, almeno i giorni passano abbastanza velocemente e senza pensare troppo a quello che sta succedendo».

La mente vola però anche lontano, più precisamente nel suo paese di origine, l’Uruguay, dove vive la maggior parte dei suoi parenti… «Negli scorsi giorni mia mamma non è stata bene e ci ha fatto spaventare, ma fortunatamente si trattava di una semplice influenza e ora sta meglio. Però sono ancora preoccupato per i nonni, per ora stanno bene ma fanno parte della popolazione più a rischio. In questa situazione la lontananza pesa ancora di più. L’Uruguay e il Brasile se non sbaglio sono gli unici due paesi sudamericani a non aver ancora dichiarato uno stop generalizzato delle attività, anche se i confini sono chiusi e il governo ha chiesto di limitare gli spostamenti. Io stesso ho deciso di chiudere il centro sportivo che gestisco nella mia città, perché anche se i casi continuano a crescere (superata abbondantemente quota 500 contagi) e la maggior parte della popolazione fa attenzione, c’era ancora chi voleva affittare i campi per giocare».

In attesa di capire quando invece chi lo fa per mestiere potrà tornare in campo, il capitano del Lugano lancia un appello ai sostenitori bianconeri e non solo… «Ai nostri tifosi ma anche alle altre persone dico di tenere duro, insieme ne usciremo. Se ognuno - che sia portiere, difensore, centrocampista o attaccante - farà la sua parte e giocheremo da squadra, faremo gol e sconfiggeremo questo virus».

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