Tiri liberi

Il time out, istruzioni per l'uso di un'arma tattica in più

Per essere efficace, i coach devono chiamarlo al momento giusto e i giocatori devono ascoltare le indicazioni dell'allenatore

Frank Vogel, head coach dei Los Angeles (NBA)
(Keystone)
11 maggio 2021
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Alcuni lettori mi hanno chiesto cosa penso dei time out e allora espongo. Credo che il basket sia invidiato da altri sport come il calcio, che non hanno i time out. È una vera arma tattica se, logicamente, viene usata bene.

Nella recente finale di Coppa svizzera a mio parere non è stata usata al meglio da Stimac che, con la squadra avanti di 16 punti, ha tardato troppo a chiamarlo con l’Olympic in rimonta e i suoi a sprecare palloni. Tantomeno ha fatto più volte Aleksic, chiamando il time out e sprecando i primi 30 secondi stando con la lavagnetta in mano senza proferire parola, per poi cominciare a disegnare schemi come un forsennato nei secondi restanti. Durante il suo silenzio, un paio di giocatori parlavano fra di loro suggerendosi movimenti e altro, altri erano bellamente distratti.

Ritengo assurdo che quando un coach chiama i time out, alcuni giocatori non stiano attenti a quanto l'allenatore spiega; lo si vede chiaramente dalle immagini e dal vivo. A volte, prima dell’inizio di un match, il coach parla e qualche giocatore nemmeno è vicino alla panchina: o sta ancora tirando o sta a bere. Chiaramente questi interventi risultato poco efficaci. E poco efficace è la miriade di schemi e movimenti che gli allenatori disegnano sulle lavagnette durante i 45 secondi. Quasi nessuno applica poi quanto viene detto in quei frangenti, lo si vede benissimo in campo. Questo perché, per assimilare uno schema, ci vogliono ore e ore di allenamento e non è certamente in meno di un minuto che tutti possono apprendere più movimenti.

Il time out deve servire a scopi mirati: un movimento di un singolo in attacco, una correzione di un atteggiamento difensivo di uno o due giocatori, un cambiamento di difesa della squadra (dalla uomo alla zona, ricordandone alcuni principi). Oppure, semplicemente, è utile per interrompere l’inerzia di una squadra che sta reagendo forte. Troppi allenatori aspettano di subire un parziale di 9 o 10 a zero, prima di chiamare il time out; e spesso è troppo tardi. È vero che, strategicamente, avere a disposizione un paio di time out negli ultimi minuti, ovviamente in una gara molto combattuta, offre più vantaggi, come la possibilità di rimettere la palla in gioco nella metà campo avversaria. Ma è altrettanto vero che lasciare l’inerzia della rimonta all’avversaria, può essere molto penalizzante. Il time out diventa quindi un’arma tattica molto importante nell’economia di partite serrate.

Per essere efficace, in sintesi, occorre un allenatore che abbia le idee in chiaro su cosa vuol fare, non che stia a pensarci una ventina o più secondi prima d'intervenire, perché così diventa un segnale inconscio di sfiducia dei giocatori. E poi è necessario che tutti i giocatori siano attenti e concentrati sulle nuove consegne o sull’analisi di errori fatti. È capitato più volte di vedere, dopo un time out, tre giocatori che si posizionano a zona e gli altri a uomo, perché non hanno seguito il coach che ha chiaramente detto di riprendere con una difesa a zona. Ecco perché poi ci si chiede quanto possa essere efficace un time out, quando non c’è la massima disponibilità a essere sul pezzo. Anche questo aspetto differenzia i giocatori bravi da quelli scarsi.

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