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Lascia correre: ecco perché il jogging fa il pienone

Effetto-moda, sentimento di aggregazione, emozioni forti. Intervista allo psicologo dello sport: “La prerogativa della corsa è che facile da fare."

7 aprile 2018
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Quelli ‘veri’ non si fanno di sicuro impressionare da temperature rigide, giorni grigi, neve o pioggia. Se è certo che l’inverno non manda in letargo i runner più convinti e disciplinati, è altrettanto vero che in primavera, oltre alla natura, sembra risvegliarsi anche la passione della corsa. Un interesse che strega sempre più persone e non sono poche quelle ‘di una certa età’ che vi si lanciano. Da una sgambata per stare meglio o rimettersi in forma alla prima gara, il passo è spesso breve. Il successo delle competizioni – dalle storiche a quelle più recenti – lo dimostra. Per restare alle tre più popolari in Ticino, la stagione s’è aperta come da tradizione il Lunedì di Pasqua con il Giro Media Blenio, corso quest’anno da oltre milleseicento persone. Fra qualche settimana (26 e 27 maggio) sarà la volta della Stralugano, che in pochi anni ha visto quasi decuplicarsi gli iscritti; chiuderà il trittico (13 e 14 ottobre) l’Ascona-Locarno Run, pure molto apprezzata.

Come si spiega questo crescente consenso della corsa? Ne abbiamo parlato con Giona Morinini, psicologo dello sport.

Cosa spinge sempre più persone a darsi alla corsa e anche alle gare?

Da un punto di vista puramente fisico le fibre muscolari che corrispondono agli sforzi di resistenza, sono anche quelle che durano maggiormente nel tempo e si bruciano meno con l’età. Questa è una delle ragioni per le quali gli sprinter sono spesso 20-25enni, mentre chi pratica il mezzofondo o il fondo passa anche i trenta. Ed è anche uno dei motivi per cui non sono pochi coloro che iniziano a correre ‘sul tardi’.

Come spiega il proliferare di competizioni e il pressoché costante incremento di iscritti?

Mi capita di seguire alcune competizioni e vedo un ambiente bello, goliardico e di aggregazione. Da un lato può esserci un certo effetto-moda: ciclicamente c’è una disciplina che emerge e, più se ne parla, più la si conosce e più viene voglia di praticarla. Dall’altro lato alla base di una pratica sportiva – qualunque siano l’età e il livello – si ritrovano tre elementi: il primo è il fatto di sentirsi parte di un gruppo; di essere, cioè, una delle tre, quattro o cinquemila persone che corrono la stessa gara; di condividere l’esperienza, anche sui social; di lanciarsi sfide con amici o colleghi. L’aspetto di aggregazione è molto importante in generale, non solamente nella corsa. Pure chi gioca a calcio o va a sciare, ad esempio, lo fa anche per il piacere di stare con gli altri e avere un confronto con loro. Il secondo elemento è l’occasione di potersi migliorare sempre, ciò che costituisce una motivazione. Sotto questo aspetto sono certamente utili tutti quegli aggeggi tecnologici come orologi e cardiofrequenzimetri: se si ha una traccia, ci si rende conto che si migliora e ciò spinge a perseverare.

E il terzo motivo che ci può far capire il successo del jogging?

È che la gente fa sport anche per provare emozioni forti. La gara diventa quindi una parte ricercata della pratica e l’adrenalina si ha iscrivendosi; anche se non ci sono in palio medaglie olimpiche. È questo che porta a cercare emozioni sempre più grandi: s’inizia magari dalla Stralugano per poi provare la corsa di Berna, la mezza maratona di Monaco e via dicendo. I tre aspetti citati si ritrovano in tutte le categorie; indipendentemente dal livello. I corridori che dicono è il bello della sfida con sé stessi, che portato all’estremo assume un aspetto quasi meditativo.

Si cerca la concentrazione su sé stessi o piuttosto un modo per lasciare fuori il mondo?

Parlando con chi corre, emerge che si ricerca piuttosto il primo aspetto; il distanziarsi da tutto viene come una conseguenza. Staccare la spina non è comunque specifico della corsa: si può farlo prendendo un aperitivo in compagnia, giocando a carte con gli amici e in molti altri modi. Quando corri, per restare in tema, è un momento in cui sei centrato su te stesso, impari a conoscere il tuo corpo e la ritmica ripetitiva ti porta quasi in una trance. Ciò consente di allenarti a focalizzare l’attenzione su un aspetto alla volta. Si chiama ‘mindfulness’, è la meditazione della piena consapevolezza che mira a riuscire a portare il pensiero attivamente su quello che scegli tu, nel momento in cui lo scegli tu.

Proviamo a semplificare con un esempio.

Mentre si corre, si cerca di sentire il ritmo dei propri passi o la frequenza del respiro; e quando vengono pensieri relativi al lavoro o ad altri aspetti, magari stressanti, li si lascia andare e si torna a sentire il ritmo dei passi. Per alcuni questo è rilassante, per altri motivante.

E cosa accade dentro la testa durante una gara?

Portata alle competizioni, la ‘mindfulness’ vuol dire che nei momenti difficili si riesce a focalizzare l’attenzione su quello che si sa fare, lasciando da parte tutte le preoccupazioni. Nella corsa questo aspetto meditativo è legato al benessere psico-fisico: essere in grado di orientare i pensieri laddove servono e non essere in balia di essi, è correlato alla prevenzione dello stress e altre difficoltà.

Il bisogno di muoversi è un’esigenza caratteristica della società odierna?

È qualcosa di insito nell’uomo. Ultimamente lo si fa molto di più attraverso la corsa, ma si può soddisfarlo con altre attività. Questo è un discorso paragonabile a quello secondo cui oggi i bambini hanno bisogno di fare tanta ginnastica a scuola, poiché rispetto al passato sono più sedentari. Un tempo si correva nei prati, ci si arrampicava e, senza accorgersi, s’imparavano spontaneamente aspetti coordinativi e di motricità. Il moto è sempre stato una necessità; forse un tempo se ne faceva di più, perché c’era più tempo libero e l’attività fisico-ludica si declinava in molte altre situazioni: giocando con i figli, andando in montagna e via di seguito. Oggi, pur generalizzando, la vita è più stressante e il tempo per sé è diminuito. La società è certamente cambiata e il boom della corsa, così come delle numerose discipline fitness (pensiamo a tutte le persone che vanno in palestra: una volta la palestra erano aria aperta e natura) dimostrano quanto il movimento sia un bisogno dell’uomo. Se non c’è spontaneamente, lo si cerca in una forma diversa.

La necessità di fare sport, in questo caso la corsa, può essere troppa?

Magari diventare addirittura una patologia? Si parla proprio di patologia. Il limite si travalica nel momento in cui si crea una sofferenza. Il patimento può essere di vari tipi. Uno è se, per praticare tanto sport, si tralascia parecchio altro. Un altro è quando si va in astinenza degli ormoni prodotti dall’attività fisica; si tratta di una sorta di dipendenza, che in psicologia è trattata come altri disturbi quali l’abuso di sostanze, lo shopping compulsivo, il gioco, l’uso sfrenato della tecnologia. Un altro motivo di sofferenza c’è quando sull’entourage, in particolare la famiglia, ricadono gli effetti di tutto quanto la pratica sportiva può implicare (come l’acquisto di materiale all’ultimo grido e costoso o il tempo investito e dunque sottratto agli affetti). Spesso, peraltro, sono proprio gli affetti ad accorgersi che si sta esagerando; però non è facile far comprendere a chi è ‘dentro’ e che nello sport vede solo il bello, il positivo, i benefici. Riconoscere di esagerare non è facile, come è tipico di ogni dipendenza. Con la corsa, ma vale per lo sport in generale, il meccanismo che si crea si può riassumere così: più se ne fa e più se ne ha bisogno; poi se ne avrà bisogno sempre di più, per arrivare alla soddisfazione che si provava all’inizio. Non è raro che non ci si renda conto di tutte le implicazioni che ciò può comportare, anche di carattere economico (un numero sempre maggiore di gare genera costi in termini di quote di iscrizione, trasferte e pernottamenti eccetera).

Perché tante persone iniziano a correre attorno ai ‘fatidici’ 40 anni e poi si danno anche alle gare?

È una questione di cicli di vita. Di solito un’attività sportiva si comincia da bambini e la si pratica, chi in modo agonistico, per vari anni. Una grossa fetta smette attorno ai 16-17 anni, in concomitanza con la formazione post obbligatoria (scuole superiori o apprendistato); il cambio ormonale; i primi ‘amori e la voglia di dedicarsi ad altri interessi. Tra chi va avanti, l’abbandono può sopraggiungere attorno ai vent’anni qualora non si abbia uno sbocco verso il professionismo; verso i trenta-trentacinque se invece si è riusciti a farne un lavoro. Quella tra i trenta e quarant’anni generalmente è una fascia di vita in cui lavorativamente si è lì dove si desiderava essere; la relazione familiare prende corpo e se si hanno dei figli, possono essere abbastanza cresciuti da non doversene prendere cura ininterrottamente. Inoltre fisicamente il corpo inizia a perdere qualche colpo, perciò si prova il piacere nel praticare attività fisica per mantenere la forma. Attorno alla ‘fatidica’ quarantina si verifica un cambiamento. C’è chi si dà all’attività sportiva perché vuole mantenere il proprio corpo, ma anche per il piacere di sentirsi ancora capace, in forma, bello. C’è invece chi si dedica ad altri piaceri: viaggi, cinema, auto sportive, cucina, lettura. È davvero una fase della vita che dà origine a un nuovo equilibrio e nella quale si cercano dunque anche alternative per riempire questi spazi che si creano. Un aspetto competitivo lo abbiamo tutti: c’è chi lo mette in gioco nella disciplina sportiva che pratica, chi invece al lavoro o nelle discussioni con gli altri.

Darsi alla corsa anche dopo la ‘mezza età’ non è una scelta prettamente maschile.

No, anzi. Lo dimostra il successo di gare dedicate alle sole donne; alcune delle quali sono corredate da servizi come sedute di massaggi o manicure. Insomma, una serie di prestazioni che valorizzano la femminilità.

Chi inizia a questa età, riesce a essere più costante nel tempo e quindi a non mollare?

Più che l’età, conta avere obiettivi concreti e misurabili, in quanto vi si tiene fede più facilmente. È inoltre importante avere esigenze che dipendono da sé stessi, perché così ci si sente attori di quel che succede. Se si comincia a correre, chessò, per piacere agli altri, lo sforzo non durerà a lungo. Ma questo, in fondo, non vale solo per lo sport. La prerogativa della corsa, che ne spiega la popolarità, è che è facile da mettere in pratica. L’allenamento è facile da ricavare, è possibile ovunque a differenza, per dire, dello sci per cui devi trovare la neve, del tennis per cui ci vuole un avversario, del nuoto che necessita una piscina. Per la corsa ti cambi e vai, basta ad esempio la pausa dal lavoro. Per molti versi è ciò che è il calcio tra i ragazzi.

La corsa è all’apparenza meno ludica e più faticosa: è dunque una disciplina maggiormente adatta a un’età matura?

Anzitutto va detto che chi corre, ha proprio il piacere di farlo. Il piacere, in generale, si trasforma con l’età e da grandi si ha sicuramente una maniera diversa di provare soddisfazione, rispetto ad esempio all’adolescenza. Appagamento che viene ricercato molto anche in questi momenti di aggregazione che sono le gare. Vedo amici o conoscenti che, passato il Giro Media Blenio, si proiettano già verso la Stralugano e dopo verso la Locarno-Ascona. Alla gioia personale che si raggiunge attraverso le sfide con sé stessi (come può essere provare a stabilire un tempo migliore), si aggiunge la felicità data dalla partecipazione comune. Si spiega anche così il boom della tecnologia e l’uso crescente del vastissimo mondo della realtà social, che rendono possibile la messa in rete, il confronto (per di più con persone che nemmeno si conoscono) e l’opportunità di commentare percorsi e tempi.

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