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Deborah Scanzio a caccia del ‘wow’

Questa notte la 31enne di Piotta scenderà in pista sulle gobbe di Bokwang in quelli che saranno i suoi quarti e ultimi Giochi Olimpici

8 febbraio 2018
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Da Faido (dove è nata) a Pyeongchang, passando per Piotta (dove è cresciuta), Airolo (dove ha imparato a sciare) e le piste (in particolare le gobbe) di mezzo mondo, affrontate e domate in 16 anni di carriera nel freestyle. È il percorso di Deborah Scanzio, che in un su e giù di emozioni (non avrebbe potuto essere altrimenti) è arrivata in Corea del Sud per vivere nientemeno che la sua quarta Olimpiade. A 31 anni, l’ultima. Ma anche la prima. «Ho un video di quando a dieci anni sculettavo qua e là sulle piste e non avevo proprio niente a che vedere con un talento – ci racconta l’atleta dello Sci club Airolo, che in oltre 16 stagioni di Coppa del mondo (125 gare) ha collezionato 4 podi (di cui un successo) e si è messa al collo il bronzo nel moguls ai Mondiali del 2007 –. Quando ad esempio vado nelle scuole e lo mostro ai bambini, dico loro che qualcosa di buono lo avrò probabilmente avuto dentro di me, ma fondamentali sono la determinazione, il lavoro e la costanza. Senza questi elementi, oggi non sarei qui a vivere la mia quarta Olimpiade. Un risultato inimmaginabile e di cui probabilmente non mi rendo ancora bene conto. Anche perché secondo me non è vero che ci si abitua, perlomeno non io. Per me ogni volta è come la prima, a maggior ragione in uno sport minore come il nostro nel quale i Giochi rappresentano qualcosa di ancora più grande rispetto ad esempio allo sci alpino, in cui già i Mondiali sono un evento molto grande e mediatizzato. In poche parole le farfalline nello stomaco le sento ancora, a maggior ragione in questo caso in cui per la prima volta rappresenterò la Svizzera». Già, per la prima volta, perché nelle altre tre occasioni Debby i Giochi li aveva affrontati con la casacca azzurra (il nonno era siciliano), indossata fin dall’esordio in Coppa del mondo nel 2002 più per necessità che per scelta, perché allora in Svizzera il freestyle era a dir poco snobbato. Poi, nel 2014, è arrivata la tanto sognata quanto inattesa possibilità di tornare a vestire rossocrociato e la ticinese l’ha colta al volto... «A dire il vero, fino a poco prima non pensavo nemmeno che fosse possibile, per cui lo vedevo come un sogno irrealizzabile e mi ero quasi rassegnata. Poi quando ho scoperto che in realtà il regolamento lo permetteva, sono tornata a sperare e oggi questo sogno si realizza. Oggi (ieri per chi legge, ndr) siamo andati a Casa Svizzera e per me è stata una cosa nuova e molto emozionante, figuriamoci entrare nello stadio alla cerimonia di apertura rappresentando finalmente il mio Paese. Non vedo l’ora».

Ricordi e compagni di viaggio

Delle sue tre precedenti partecipazioni ai Giochi, la 31enne ha emozioni molto diverse... «Di Torino (2006, 9° posto, ndr) ho un bel ricordo, perché si trattava del mio miglior risultato in assoluto visto che in Coppa del mondo non ero ancora riuscita a entrare nelle top-10. Oltretutto eravamo a due passi da casa ed era presente tutta la mia famiglia, per cui ricordo tutto come una grande sorpresa e un’immensa gioia. L’opposto di quanto successo a Vancouver (2010, 10° rango, ndr), dove mi ero sentita un po’ sola. Con me c’era solamente un allenatore privato, con il quale oltretutto le cose non funzionavano granché bene. Non c’erano famigliari ad accompagnarmi, quindi nei momenti importanti non c’era qualcuno con cui condividerli, se non una mia amica ticinese che si trovava là a studiare l’inglese e che per fortuna ho potuto vedere un paio di volte. Il decimo posto in sé non sarebbe stato nemmeno un brutto risultato, ma l’esperienza era stata piuttosto negativa. Sochi (2014, 11° posto, ndr) invece la ricordo con piacere. Ho rivisto poche volte la gara, ma ricordo di aver fatto il miglior tempo e che ero scesa in maniera molto aggressiva, dando tutto. Poi c’era con me come atleta Giacomo Matiz, che ora è qui come mio allenatore, per cui era stata davvero una bella avventura». A proposito di compagnia, Deborah in Corea del Sud è accompagnata da tre persone “tutte per lei” – l’osteopata e sua grande amica Camilla Gendotti, il preparatore atletico Juan Domeniconi e Matiz –, dopo che la speranza di essere presenti degli altri due ticinesi della selezione rossocrociata, Nicole Gasparini e Marco Tadé, si è infranta a causa di due infortuni... «Ho la fortuna di avere a disposizione un team bravissimo e simpatico, tanto che un’allenatrice svizzera di snowboard mi ha preso in giro chiamandomi Roger, perché sono da sola e ho ben tre accompagnatori tutti per me. Indubbiamente dispiace non essere qui con Nicole e Marco, soprattutto negli ultimi anni siamo diventati proprio un bel team e nel percorso verso questi Giochi abbiamo passato tanti bei momenti insieme. Cercherò di fare del mio meglio anche per loro».

Tobleroni giganti e la discesa ‘wow’

Deborah e il suo team da una settimana si trovano già a Bokwang (a una cinquantina di minuti dal villaggio olimpico di Pyeongchang), dove si terranno le prove di freestyle... «Inizialmente quando ho saputo che avremmo alloggiato qui ero un po’ delusa, ma poi in realtà ho capito che la scelta di Swiss Olympic è stata azzeccata, perché ogni giorno sono quasi due ore di viaggio risparmiate. Invece ora ho la pista davanti a “casa” e posso concentrarmi unicamente sugli allenamenti e sulla gara. Avrò tempo dopo di vivere l’ambiente e lo spirito olimpico, anche perché dalle esperienze passate ho capito che solo una volta concluso il tuo impegno ti rilassi e riesci veramente a goderti l’evento». Dopo un paio di giorni necessari per assorbire il jet lag («Ho dormito poco la seconda notte, ma per fortuna mi ambiento facilmente per cui ora sto già molto bene»), la protetta di Andrea Rinaldi ha iniziato ad allenarsi trovando una sorpresa... «La pista è molto selettiva, tanto che siamo rimasti un po’ tutti scioccati quando l’abbiamo vista. Il pendio è lo stesso della prova di Cdm dello scorso anno (19ª nel moguls, ndr), ma la partenza è posta più in alto e quindi la prima parte è più ripida, compreso l’atterraggio del primo salto. L’anno scorso poi, prima del salto, c’era più spazio per prepararsi, ora la gobba è molto più attaccata alla rampa e questo complica le cose. Per non parlare delle gobbe stesse, che sono enormi, sembrano dei tobleroni giganti e di conseguenza se sbagli è più difficile salvarsi. Questo però non è per forza un male, in fondo la pista è uguale per tutte e su un tracciato troppo facile sarebbe più difficile fare la differenza. In ogni caso abbiamo avuto diversi giorni per allenarci e questo mi ha permesso di ambientarmi piano piano. Non a caso abbiamo deciso di dividere gli allenamenti a settori, concentrandoci a volte sui salti, a volte sulla sciata. Ora si tratta di mettere insieme i pezzi e domani (oggi per chi legge, ndr) nell’ultimo allenamento proverò a farlo, svolgendo una sorta di gara-test. Ma ogni giorno è andata meglio e le sensazioni sono buone». La prima qualifica in programma stanotte (alle 2 ora svizzera) permetterà alle migliori 10 (su 30) di andare direttamente alla finale di domenica (ore 13), mentre le escluse si giocheranno gli altri 10 posti nella seconda qualifica in programma domenica mattina prima dell’ultimo atto. «Questo ti dà un po’ più di tranquillità, perché sai che alla fine quello che conta è domenica. Anche se è sempre meglio qualificarsi il più avanti possibile, perché poi in finale (a partenze invertite, ndr) i punteggi dei giudici tendono ad aumentare man mano che la gara avanza». Quel che è certo, è che la leventinese non vuole avere rimpianti... «Voglio lottare e provarci in tutti i modi, senza fare troppi calcoli. Preferisco rischiare e sbagliare sapendo di averci provato, piuttosto che effettuare una discesa conservativa e senza emozioni che non porta a niente. Forse altre atlete possono permettersi di controllare un po’ di più la loro gara, ma io non posso assolutamente speculare, per farmi notare devo effettuare una discesa che faccia dire “wow”». Un wow da medaglia? «È il sogno di ogni sportivo ed è ancora anche il mio. E sì, ci penso, mi dà ulteriore forza per allenarmi e cercare di svolgere tutto al meglio: la sciata, i salti, le prese. Perché se è vero che mi piacerebbe perlomeno migliorare il 9° posto di Torino – e non è affatto scontato –, se dovessi riuscire a mettere insieme tutte le componenti, anche il podio non sarebbe un miraggio. Io ci credo».

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