Tecnologia

L'Economist attacca i social network: 'minacciano la democrazia'

3 novembre 2017
|

Una mano che impugna la 'f' di facebook come una pistola fumante e un titolo senza mezzi termini: 'La minaccia dei social network alla democrazia" Questa la copertina dell'ultimo numero dell'Economist, che dedica ampio spazio al pericolo di disinformazione, divisione e incitamento all'odio insito nei social.

Nel suo editoriale principale, il settimanale inglese snocciola numeri inquietanti sulla diffusione di fake news nel mondo: "Facebook ha riconosciuto che prima e dopo le elezioni americane dello scorso anno, tra gennaio 2015 e agosto di quest'anno, 146 milioni di utenti potrebbero aver visto fake news russe sulla sua piattaforma. YouTube ha ammesso di avere ospitato 1'108 video collegati alla Russia, Twitter 36'746 account. Lungi dall'illuminare la gente, i social media stanno diffondendo veleno." Il naufragio, insomma, di quel sogno di conoscenza diffusa e di emancipazione che proprio questi network promettevano al mondo intero.

Anzi. Se è vero che nei Paesi ricchi una persona interagisce col suo smartphone 2'600 volte in un giorno, in un mondo di opinioni politiche sempre più divise, i social network forniscono per rafforzare i pregiudizi ed aggravare quelle divisioni. E siccome la profilazione degli utenti operata dai social è capillare quanto nessun'altra mai, la possibilità per gli inserzionisti di manipolare le menti di ciascuno si ingigantisce.

 

Che fare, dunque? L'Economist confida che le persone si rendano sempre più conto da sole di cosa è informazione affidabile sui social e cosa no. Ma nel frattempo "governi cattivi che perseguono cattive politiche potrebbero fare molto male."

Nè l'Economist sembra convinto dall'impegno di società come Twitter, Google e Facebook ad arginare il fenomeno delle fake news, magari affidandosi al 'fact checking' di terzi. "Inoltre, la politica non è come altri tipi di discorso; è pericoloso chiedere a una manciata di grandi aziende di decidere ciò che è sano per la società."

"Ci sono altri rimedi" - prosegue l'editoriale - "Le società di social media dovrebbero adeguare i loro siti per rendere più chiaro se un post proviene da un amico o da una fonte attendibile. Potrebbero associare alla condivisione di post avvisi sui danni da disinformazione." E ancora, adottare tecnologie e adeguare i loro algoritmi per scoraggiare il 'clickbaiting' (la caccia ai click), la diffusione di contenuti da parte di account 'robotizzati' e così via.

C'è un problema, però: il modello di business dei social si basa sulla monopolizzazione dell'attenzione degli utenti; combattere proprio quegli inserzionisti che riescono meglio ad attirare gli occhi delle persone, quindi, rischia di danneggiare gli interessi economici della piattaforma. Per questo, perfino il liberalissimo Economist giunge ad ammettere che certi cambiamenti potrebbero necessitare dell'intervento diretto "della legge o di un ente di vigilanza". D'altronde, "difficilmente la posta in gioco per la democrazia liberale potrebbe essere più alta.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔