Racconto della settimana

Due quaglie e una mezza carota

28 ottobre 2015
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Ad essere sincera, non avevo idea di cosa aspettarmi da un interrogatorio di polizia.
Ho semplicemente detto al commissario che non pensavo di ucciderlo. Tutto qui. Lui mi ha invitato ad accomodarmi e mi ha fatto cenno di continuare. Ma siccome non avevo nient'altro da dire, c'è stato un attimo di silenzio.
Non è che conoscessi davvero Dimitriy Chagaev. Ovvio, l'avevo visto alla tele e sui giornali. Ma l'avevo incrociato di persona una sola volta, diversi anni fa, a una cena di gala a Mosca, quando ancora lavoravo là.
Tutto era filato liscio fino al dessert. Poi, forse un po' brillo, aveva cominciato a scherzare con i suoi altrettanto brilli commensali. E quando gli avevo appoggiato davanti la sua porzione di millefeuille alle ciliegie, lui mi aveva appoggiato una mano fra le cosce e l'altra sul didietro. Non so se mi spiego. Ero stata la sola a non ridere, attorno a quel tavolo. Sta di fatto che il millefeuille era volato in aria e aveva finito la sua corsa al centro del tavolo a fianco. Il piatto, invece, gliel'avevo spezzato sul muso. Una striscia di sangue aveva cominciato a scendere dalla sua fronte, poi giù lungo la guancia sinistra. Le mani mi tremavano. Le due metà del piatto erano finite a terra. Ma è l'urlo che avevo piantato, credo, più di ogni altra cosa — più del pugno che gli avevo poi tirato in mezzo agli occhi — che aveva reso la mia posizione indifendibile agli occhi del caposala.
Dopo quell'episodio, ho faticato a trovare di nuovo lavoro. Nell'ambiente degli hotel di lusso, le referenze sono tutto e le voci girano. Alla fine, dopo un passaggio a St. Moritz e Crans Montana, mi sono decisa a tornare in Italia e a cercare un posto in Ticino, magari meno di lusso, magari meno ben pagato, ma più tranquillo. A Chagaev non ho più pensato, finché il suo nome non è apparso sulla lista degli invitati.
Non volevo ucciderlo, ho ripetuto al commissario. Volevo solo che vomitasse davanti a tutti. Che sputasse la sua anima schifosa nel piatto.
Il commissario ha sbuffato. Poi si è massaggiato la faccia e mi ha guardato negli occhi. Mi ha chiesto se mi andava bene che ci dessimo del tu. Io ho detto sì–sì. Il commissario ha detto non sei stata tu a ucciderlo. Io ho detto come scusi? Lui mi ha spiegato che lo sciroppo di ipecac, che avevo effettivamente usato con il solo intento di farlo stare male, non avrebbe ucciso una mosca; anzi, avesse avuto il tempo di fare effetto, avrebbe forse potuto salvarlo, facendogli rigurgitare il secondo veleno che aveva ingerito.
Io ho detto non capisco. Il commissario ha detto non è grave. Poi ha aggiunto ti chiedo solo di aiutarmi a trovare chi gli ha somministrato il secondo veleno, quello che lo ha effettivamente ucciso.

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