Racconto della settimana

Non di più colpo che Soave vento

25 settembre 2015
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Pietro, così stava scritto, aveva vendicato il suo passato di trovatello colpendo il sistema responsabile di centinaia di figli illegittimi come lui. Dante aveva costruito attorno al numero 3 il suo Inferno e così fece Pietro: Clero, Borghesia e Stato le vittime del piano delittuoso, che, come anticipava in queste righe, toccò tre luoghi del Canton Ticino, patria dei suoi ignoti genitori, e si consumò in meno di 48 anni. Il retro del frontespizio terminava con la sibillina citazione “Fé la vendetta del superbo strupo” seguita dall’indicazione “Canto XIX, versi 31-87”.

Ricordavo il XIX canto dell’Inferno dai tempi del liceo: quelle pagine affrancavano il Sommo Vate dai parrucconi della letteratura e lo avvicinavano alle nostre ribellioni anticlericali. Papa Niccolò III, condannato a un eterno handstand nell’ottavo cerchio, incarnava l’odio di Pietro verso l’ipocrisia di chi predica misericordia e razzola nell’aia dell’intolleranza. La confessione del suo primo delitto stava a margine di quegli eretici versi. Era il luglio del 1843, i fatti del Bisbino, dove era stato ucciso un carabiniere di Chiasso, agitavano gli animi del Mendrisiotto, in un crescendo di tensione tra conservatori e liberali. In quella confusione, Pietro Caimi si reca indisturbato nella canonica di Bruzella e, con un moschetto, uccide Don Michelangelo Clericetti che, ancora oggi, si sta sicuramente chiedendo cosa voglia da lui quel bel giovane, abiti eleganti e canna puntata. Pietro Caimi uscì senza alcuna macchia dalla sua prima vendetta. Nulla poteva mettere in relazione l’umile parroco di paese con il Caimi e di quell’omicidio venne invece accusato il Matiröö che, a metà strada tra un bandito e un Robin Hood delle masserie, conduceva con fermezza la sua politica del fucile. Neppure il Matiröö, nonostante una condanna in contumacia, pagò mai per quel delitto e riuscì a trovare rifugio in Argentina grazie al denaro che Pietro Caimi, a mo’ di indennizzo e in forma completamente anonima, si premunì di fargli trovare in un granaio di Vacallo.

Era incredibile: non solo avevo già incontrato il Matiröö ai tempi della mia prima incursione al Soave ma il pover’uomo era ritenuto responsabile, nella storiografia ufficiale, persino di un omicidio commesso invece dal mio antenato. E quel parroco innocente che si era trovato per caso sulla strada di Pietro Caimi e ne aveva pagato con la vita la sete di vendetta! Ero sconvolta, dovevo fermarmi a riflettere, cercare di capire. Ma bastò leggere il macabro motto “Fé la vendetta del superbo strupo: Canto XVIII 67-99 ” che già le mie mani retrocedevano nell’Inferno verso, così temevo, un nuovo delitto.

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