laR 25 anni

Le memorie Di Pietro

14 settembre 2017
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C’era un’aria da tifoseria, nell’Italia del 1992. Più del solito, insomma. Deflagrava Tangentopoli e si era tutti attaccati alla televisione, ad aspettare il prossimo arresto, la prossima perquisizione. Iniziò con “mariuoli” come Mario Chiesa, pesci piccoli, qualche milione (di lire) per un appalto di pulizie in casa anziani. Di lì, il pool di Mani Pulite iniziò a scoperchiare il vaso di una corruzione sistematica, fino a coinvolgere gli alti papaveri, partitici e industriali: primo fra tutti Bettino Craxi, segretario e leader carismatico del Psi, ex presidente del Consiglio, quintessenziale ago della bilancia politica. Avevo undici anni. Ricordo le grisaglie del vecchio Pentapartito inchiodate dietro a un microfono. Ricordo i marmi verdastri del Palazzo di Giustizia, a Milano. Davanti, l’esuberante figura di Antonio Di Pietro, pubblico ministero dai modi spicci e fin troppo disinvolti, prima star della magistratura italiana (si sarebbe poi registrato un boom di iscrizioni a giurisprudenza; sicché oggi, in Italia, ci sono più avvocati che piccioni). Le vedevo, quelle facce da Prima Repubblica, nel tubo catodico del bar dove mi portava mio nonno. Che poi era una Casa del Popolo: il “bar dei comunisti”, fortezza Bastiani di un partito sconfitto dalla storia, ma che Tangentopoli pareva toccare meno di altri (non necessariamente per superiorità morale, ma perché i soldi in quel caso venivano da est). “Son tutti ladri”, sbuffavano gli avventori fra un tiro di Ms e una briscola. Un quotidiano uscì col poster a colori di Di Pietro; alcuni amichetti se lo videro appeso in camera. L’anno dopo, Craxi sarebbe stato investito da una pioggia di monetine, la folla gli urlava in coro “vuoi anche queste?”. Di Pietro era San Giorgio, che prometteva di uccidere il drago della corruzione. La storia ci racconta come finì la corsa. Ferito il drago sarebbe giunto il Biscione, quel Berlusconi che la sinistra provò a sconfiggere con gli stessi metodi, titillando il protagonismo delle procure. Il popolo dei fax – che inondava di messaggi indignati partiti e redazioni – sarebbe passato online; da lì l’avrebbe raccolto un comico che proprio allora aveva iniziato a castigare il potere: Beppe Grillo. Oggi quella Casa del Popolo è diventata “Bar Dolce Vita”. La Seconda Repubblica sfuma già nei ricordi, come un’occasione sprecata, senza troppi rimpianti. Il popolo – la “gggente” – continua a gridare “tutti a casa”. E a risentirla oggi, la difesa di Craxi, si rischia quasi di pensare al Giulio Cesare shakespeariano. Plus ça change…

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