laR 25 anni

L'oro in bianco e nero di 'Pippo' Rosset

12 settembre 2017
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La dura (?) vita dello studente aveva i suoi vantaggi. Tra questi, lunghe settimane di vacanza. A Brè sopra Locarno, fresco e accogliente, con i nonni o con i genitori, erano giornate spese a sistemare casa (che in montagna ci sia sempre qualcosa da fare non è un luogo comune, è la realtà), a riposare e a guardare la televisione. In montagna, dove si trascorrevano pochi giorni all’anno, c’era quel piccolo apparecchio col baffo a mo’ di antenna, da ruotare alla ricerca di un segnale Tsi valido. Hd? 4K? Macché: bianco e nero. Per cambiare canale dovevi alzarti, mettere mano alla manopola e girare con forza: tum, tum, tum... Tsi, il canale romando, quello tedesco. Poi: Rai2 (Rai1 solo ogni tanto), Zdf e Ard, con Tatort, Derrick e Matula. La scelta, quell’8 agosto 1992, era scontata: Olimpiadi di Barcellona, tennis: gioca Marc Rosset, in finale contro lo spagnolo Jordi Arrese. Per arrivare lì, ha buttato fuori gente del calibro di Ivanisevic e dell’idolo di casa Emilio Sanchez. Tennista di lunga data anch’io, sono in fibrillazione. Rosset in finale a Barcellona, sulla terra. Sulla quale si rema come pazzi e gli scambi sono infiniti. Un miracolo di stampo rossocrociato. Il nervosismo è palpabile. Il mio, però. Quello di Rosset si palesa solo quando si fa riprendere, da due set avanti a due pari. Chi dice di aver creduto che potesse vincere al quinto, contro uno specialista del rosso e della lotta a oltranza, mente! Eppure vinse. Con la mitica ‘Prestige’ (che attrezzo, quello!) Vinse in quella scatoletta, in bianco e nero, piccolo piccolo, lui che è altissimo. Conquistò l’unico oro della delegazione elvetica. Con quell’andatura un po’ ciondolante che indusse il collega della Rai Giampiero Galeazzi ad affibbiargli quel “Pippo” che gli si addice benissimo: come Pippo, quello vero, non preso troppo sul serio, ma capace, a volte, di imprese più grandi di lui.

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