Curiosità

In dodici intrappolati in una grotta: nel 1986 successe in Italia

La quinta D del liceo Vallinseri di Lucca rimase per 30 ore nella 'Tana che urla'. Malgrado la scarsa tecnologia disponibile, sommozzatori e speleologi li trassero in salvo

10 luglio 2018
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Le vicende della grotta di Tham Luang hanno una certa attinenza con quanto accaduto nel 1986 nel comune italiano di Fornovolasco, sulle Alpi Apuane. I dodici ragazzi della quinta D del liceo Vallisneri di Lucca rimasero bloccati con il loro insegnante e uno speleologo nella cavità carsica della 'Tana che urla', lunga più di 300 metri. La gente del posto si accorse di quanto stava accadendo nel sottosuolo solo in serata. La macchina dei soccorsi si attivò subito, ma non fu facile e quella notte si temette il dramma.

Gli uomini della sezione speleologica toscana del soccorso alpino impiantarono un centro di coordinamento a un chilometro e mezzo di distanza, al cui termine sgorga una sorgente. Le piogge abbondanti avevano ingrossato la portata del torrente sotterraneo che aveva ostruito l'uscita della galleria, bloccando la scolaresca del liceo scientifico che, ironia della sorte, portava il nome del naturalista che nel 1700 scoprì la grotta.

All'imbocco della cavità vennero impiegate dai vigili del fuoco due pompe nel tentativo di diminuire la pressione dell' acqua e di consentire ai sommozzatori di penetrare all'interno, ma la cosa inizialmente non sembrava funzionare. Arrivarono cioccolata e indumenti, ma il recupero fu difficile e lungo. Alle 17.10, dopo oltre 30 ore di preoccupazione, uscì dalla grotta la prima studentessa e poi man mano, a distanza di qualche quindicina di minuti l'uno dall'altro, uscirono tutti. Alle 19,30 la vicenda era conclusa e dalla 'Tana che urla' uscirono anche gli eroi instancabili di quelle ore: gli speleologi e sommozzatori.

Uno di loro era Pietro Sini, 22enne operatore subacqueo dei carabinieri che, vedendo le scene dei soccorsi oggi in Thailandia, non può non associare le immagini di oggi a quella vicenda. "Allora - ricorda Sini, oggi 54enne in congedo - i materiali tecnici erano scarsi. Si lavorava anche con l'incoscienza. Oggi per fortuna c'è la tecnologia. Allora si lavorava a tastoni con quello che si aveva. L'immagine che mi è rimasta più impressa è stata il primo contatto con i ragazzi, non si rendevano conto di cosa stava succedendo. Meglio così".

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