L'editoriale

Il requiem di Gobbi

4 novembre 2014
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Nel vergognoso braccio di ferro consumatosi fra le istituzioni cantonali, il Dipartimento educazione di Bertoli da una parte e il Dipartimento istituzioni di Gobbi dall’altra, ad andarci di mezzo sono stati i più deboli e indifesi: i bambini. Quei bimbi scolarizzati dal Comune di Gambarogno, malgrado la ‘pecca’ di non essere ufficialmente domiciliati, e considerati dall’autorità comunale “ben integrati e contenti” a tal punto da “non creare problemi”. Bambini divenuti, di certo a loro insaputa, terreno di contesa politica pubblica fra chi desiderava giustamente dare loro l’opportunità di essere temporaneamente scolarizzati (malgrado non fossero legalmente a posto) e chi non ha esitato a farsi a loro spese un po’ di campagna elettorale. Così, come detto, ad andarci di mezzo sono stati fanciulli in tenera età, i cui genitori vivono dell’elemosina data loro quando si riportano i carrelli della spesa fra due note di musica andina.

Sì, perché ieri, al rientro a scuola, quei due bimbi non c’erano più: né all’asilo né alle Elementari. E a noi risulta che non se ne siano andati spontaneamente. Del resto il ministro Gobbi era stato esplicito, lasciando subito intendere che, senza il pugno di ferro, altri come loro sarebbero arrivati da noi. E poi – si era chiesto – dopo averli mandati a scuola, «che cosa gli avremmo permesso ancora? Di avere una casa? Una rendita?». Speculazione ad effetto semplicemente indecente. Ma lo sappiamo, il populismo si nutre e nutre i suoi adepti di tante false paure. E, per continuare ad attecchire, deve aumentare sempre più il dosaggio. Anche varcando il nuovo limite legato a questo episodio. Il dipartimento di Gobbi ha infatti permesso che fosse messo in dubbio il diritto fondamentale alla scolarizzazione temporanea di un paio di bimbi ecuadoriani. E tutto ciò è successo nell’indifferenza di troppi. Un’indifferenza che spiana praterie al populismo che si fa purtroppo verità e verbo, mentre è gonfiatura e menzogna. Ma non è sempre stato così. Ci fu, anzi c’era, fino a pochi anni fa, come ha ben ricordato l’ex capo Divisione scuola Diego Erba, da noi intervistato, un Ticino che guardava più in alto. C’era fin da quando sul Piano di Magadino avevamo bisogno di stagionali italiani ed essi risiedevano da noi per 4-5 mesi. Allora, pur non avendone il diritto, venivano raggiunti da mogli e figli, e i ragazzini venivano scolarizzati «senza il minimo dubbio e mai e poi mai ne è nata una benché minima polemica». Allora, ha pure ricordato Erba «a livello istituzionale prevaleva un’etica ‘trasversale’ della salvaguardia del benessere dei più piccoli: il loro bene soprattutto e prima di tutto. Senza se e senza ma; senza argomenti pretestuosi con cui minare un diritto fondamentale anche solo in astratto». E ancora: «In Ticino sono almeno 25 anni che vige la prevalenza del diritto all’istruzione rispetto a quello legato ai permessi di soggiorno». Be’, da ieri, approfittando della chiusura delle scuole per le vacanze dei defunti, è stato fatto il funerale anche al rispetto di uno dei diritti fondamentali dell’uomo, anzi del bambino. Purtroppo, come detto, anche grazie al disinteresse dimostrato da chi poteva fare (e non solo a livello politico) la differenza. Quando si suol dire che l’indifferenza uccide.

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