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Lukashenko, pirata internazionale

Il presidente bielorusso ha chiesto e ottenuto di far atterrare un aereo di linea della Ryanair con una scusa per far arrestare un giornalista dissidente

Alexander Lukashenko, il controverso presidente bielorusso
(Keystone)
25 maggio 2021
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Il satrapo si è indubbiamente superato. Con un’operazione dai contorni da guerra fredda che sembra uscita dritta dritta da una pellicola di James Bond, l’ultimo dittatore d’Europa ha oltrepassato ogni limite mettendo a segno uno spettacolare atto di pirateria internazionale. Non pago di aver arrestato e fatto torturare oppositori e manifestanti all’indomani delle elezioni truccate dello scorso mese di agosto, Alexander Lukashenko ha deciso di entrare negli annali del terrorismo internazionale (di Stato) ordinando il dirottamento di un velivolo di linea. Il volto tronfio e altero del pluridecorato autocrate ex militare, ora sovrano illegittimo di Minsk, campeggia sulle copertine dei media mondiali per un exploit senza precedenti. È stato in effetti lui, direttamente, a ordinare domenica a un caccia bombardiere Mig-29 di costringere all’atterraggio nella capitale bielorussa un Boeing 737 di Ryanair in volo da Atene a Vilnius, in Lituania. Con il pretesto di un allarme bomba, rivelatosi immediatamente fasullo, Lukashenko ha così potuto spedire nelle patrie galere Roman Protasevich.

Il giovane dissidente era stato pedinato al Kgb bielorusso mentre si trovava ad Atene per una conferenza alla quale ha preso parte la leader dell’opposizione Svetlana Tikhanovskaya. Sceso dall’aereo con gli altri passeggeri, è stato subito arrestato e imprigionato.
Accusato di sedizione e organizzazione di disordini di massa rischia ora una pesantissima condanna, forse – stando all’angosciante appello lanciato dal dissidente mentre veniva ammanettato – la pena capitale. Il destino degli oppositori sembra conoscere a Minsk una sola alternativa: o sotto terra o dietro le sbarre. Il 26enne Protasevich è stato il fondatore ed ex direttore del canale informativo Nexta, che ha avuto un’enorme diffusione sulla piattaforma criptata Instagram prima che a fine estate 2020 la polizia cominciasse a sequestrare gli smartphone dei manifestanti per snidare abbonamenti - considerati come un crimine - al medium dell’opposizione.

Nella denuncia all’unisono, da Washington a Bruxelles a Varsavia, da registrare la scontata stonatura putiniana. Mosca de facto giustifica l’atto di banditismo ricordando che nel 2013 un velivolo con a bordo il presidente boliviano Morales fu bloccato a Vienna quando gli americani sospettavano che bordo vi fosse Edward Snowden. Seppur grave e deprecabile non si trattò tuttavia di un dirottamento: al velivolo fu negato per diverse il sorvolo dello spazio aereo da parte di diversi paesi. Il mentore moscovita non abbandona dunque il suo pupillo. La Russia occupa i primi gradini del podio nella corsa alla repressione del dissenso: Da Anna Politkovskaja (freddata nel giorno stesso del compleanno del presidente) a Alexei Navalny la lista è lunga: i nomi di Alexandr Litvinenko ucciso dal polonio radioattivo o quello di Boris Nemtsov assassinato davanti al Cremlino 6 anni fa sono da tempo assurti ai disonori della tetra cronaca del regime. Lukashenko in questo ha in Putin un alleato fidato. L’Ue riunita da ieri in Consiglio europeo, è chiamata a mostrare i muscoli, e non solo quelli dell’oratoria, contro una dittatura che si riduce oggi a un’escrescenza banditesca e liberticida, già per altro denunciata da incontrovertibili inchieste da parte di organizzazioni per la difesa dei diritti umani.

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