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Nessun vaccino israeliano per i palestinesi

Netanyahu ha promesso a paesi amici d’Africa e America latina di donar loro le prevedibili dosi in eccesso. Nulla invece per Gaza e Cisgiordania

“Bibi”é già il premier più longevo nella storia dello Stato ebraico (Keystone)
2 marzo 2021
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Ammirazione per Israele, primatista mondiale per vaccinazioni. In pochi mesi, immunizzata oltre la metà della popolazione (in totale 9,3 milioni di abitanti). Ingredienti del successo: reattività del governo, alto standard sanitario, cittadini familiarizzati con la tecnologia, abitudine a disciplinate mobilitazioni. Non basta. Per ottenere dosi massicce del siero di Pfizer, si paga un prezzo maggiore di quello chiesto agli Stati Uniti, e il doppio rispetto all’Europa. E, soprattutto, un accordo segreto, svelato per ordine della magistratura: circa 10 milioni di dosi in cambio di dati (tranne il nome, si assicura) di tutti i vaccinati, età, sesso, stato di salute, persino il braccio usato per l’iniezione. Sia come sia, per Benjamin Netanyahu un successo anche politico, alla vigilia delle elezioni anticipate.

“Bibi”, così lo chiamano in patria, é già il premier più longevo nella storia dello Stato ebraico. È in attesa di processo per reati pesanti, tra cui la corruzione. Ma sono Indiscutibili le sue doti di competitore (anche con manovre discutibili, come quando lasciò senza reagire che l’estrema destra religiosa sua alleata raffigurasse Rabin con le sembianze di Hitler). E, per la sua politica di chiusura nei confronti dei palestinesi, gli anni di Trump sono stati una manna, insieme alla tacita alleanza con l’impresentabile leadership saudita, in funzione anti-Iran. Stavolta, poi, “Bibi” ha giocato una carta imprevista. Ha promesso a paesi amici d’Africa e America latina di donar loro le prevedibili dosi in eccesso del siero. Ispirato dalla ‘diplomazia vaccinale’ di Cina e Russia. Proteste dell’opposizione (impensabile fino a quando la vaccinazione non sarà completata), e intervento della Procura generale che ha bloccato il progetto. Propositi di generosità che tuttavia non c’è stata verso i 4,6 milioni di palestinesi dei territori occupati, Cisgiordania e Gaza. A loro, unicamente la consegna simbolica di soli 5 mila dosi: per il resto, le autorità amministrative di Ramallah e della Striscia dovranno sperare nello Sputnik di Putin e mettersi in fila per ricevere (chissà quando) le dosi promesse da Covax, la rete internazionale organizzata dall’Oms.

Alle critiche, il governo israeliano (in questo non contrastato dai rivali centristi) replica che in base agli accordi di Oslo la sanità nei territori è competenza dalle autorità palestinesi. Ma quegli accordi sono ampiamente disattesi dalla coalizione nazional-religiosa che da tempo domina la scena israeliana: nuove annessioni, nuove colonie, definitiva inclusione del Golan, status di Gerusalemme bistrattato. Dovrebbe dunque prevalere la Quarta Convenzione di Ginevra, articolo 56, in base al quale l’occupante deve preoccuparsi di “proteggere gli occupati dal propagarsi di malattie contagiose”. Non si contano le risoluzione dell’Onu non rispettate da Gerusalemme (prima fra tutte, il ritiro da territori conquistato con la guerra). Così é, e così sarà anche stavolta.  Ma a chi interessa ancora una comunità palestinese controllata militarmente, spezzettata in bantustan, afflitta da capi divisi e corrotti? Ci poteva essere da parte israeliana un gesto di solidarietà. Almeno per calcolo sanitario e politico. Ma niente, nemmeno questo.

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