L'analisi

Biden e la rabbia devastatrice di Trump

Nessuna intenzione dunque di accettare la sconfitta malgrado la decisione a lui sfavorevole

Sempre più rabbioso. (keystone)
14 dicembre 2020
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«Un folle autocrate» lo apostrofa David Axelrod, stratega della campagna elettorale che consentì al primo nero di accedere alla Casa Bianca. La pericolosa deriva politica e mentale del presidente uscente è sotto gli occhi di tutti: via tweet forsennati, Donald Trump lancia proclami infarinati di odio e ferocia. Sempre più rabbioso, ora intende silurare anche il ministro della giustizia William Barr, ex fedelissimo che ha avuto l’enorme torto di considerare del tutto corretto lo svolgimento delle elezioni. Prima di lui, sono cadute come foglie d’autunno schiere di ministri e consiglieri che non accettavano più di far da badanti all’inquilino della Casa Bianca. Oggi il collegio dei grandi elettori sancirà la vittoria di Joe Biden, 306 a 232 con oltre 7 milioni di voti di vantaggio sul 45esimo presidente che ancora ieri ribadiva che si è trattato «della più grande frode della storia americana e che in realtà la vittoria, massiccia, è sua». Nessuna intenzione dunque di accettare la sconfitta malgrado la decisione a lui sfavorevole presa dalla stessa Corte Suprema che pensava di poter facilmente manipolare. Prima della massima istanza giuridica del paese, erano state 50 le corti statali e federali a respingere i ricorsi. Degli 86 giudici che si sono espressi contro le sue assurde argomentazioni, 38 sono di nomina repubblicana. La vittoria del «rule of law» fa tirare un sospiro di sollievo a quella parte della società che ancora crede nel valore di quello stato di diritto, che 4 anni di trumpismo hanno trafitto come un San Sebastiano. Che Trump denunci la stessa corte suprema che avrebbe «truffato il popolo con una decisione disgraziata» non sorprende più. Inquieta però ancor di più il fatto che il golpismo larvato e insistente di Donald Trump trovi un numero elevato di seguaci in quelle istituzioni che della democrazia dovrebbero costituire un baluardo: 2/3 dei deputati repubblicani alla Camera dei Rappresentanti e i ministri della giustizia di 18 Stati lo hanno sostenuto nel tentativo di ribaltare la volontà popolare. Le Monde parla apertamente di «vigliaccheria»: consapevoli che parte dell’elettorato repubblicano (almeno il 70% secondo un sondaggio) imbonito dalle farneticazioni complottiste (in cui appaiono come grandi burattinai anche un presidente da tempo deceduto – il venezuelano Hugo Chavez – nonché una sorta di internazionale pedofila con tanto di bevitori di sangue dei bimbi) non abbandonerà il suo beniamino, antepongono i loro immediati interessi elettorali (per il rinnovo della Camera si voterà di nuovo fra 2 anni) alla difesa delle istituzioni. Con la nomina odierna di Joseph R. Biden Jr. quale 46esimo presidente degli Stati Uniti, la battaglia sembra de facto chiusa. Lo sarà de iure però solo il 6 gennaio quando il vicepresidente uscente Mike Pence dovrà proclamare davanti al congresso il nome del vincitore delle elezioni. Un deputato estremista dell’Alabama ha già annunciato che quel giorno contesterà l’esito delle elezioni: secondo le disposizioni di legge gli basterà il sostegno di un solo senatore per procedere a un voto congressuale con l’obiettivo di annullare la volontà popolare. Come dire che anche se la democrazia liberale americana sembra avere resistito a chi ha cercato di attrezzarne il patibolo, l’uragano Donald ne ha comunque duramente danneggiato l’immagine.

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